Una serata con Annie Leibovitz tra ricordi, emozioni ed intimità.

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Una serata con Annie Leibovitz” questo il titolo dell’evento organizzato al Knight Concert Hall dell’Adrianne Arsh Center, il cui costo del biglietto comprendeva l’acquisto, in forma autografata o meno del libro Annie Leibovitz at Work. Gli ordini impartiti all’inizio della serata dagli addetti alla sicurezza parlavano molto chiaro: vietato l’uso di telecamere e telefoni, niente fotografie, video o registrazioni di alcun tipo. Un’esagerazione ho pensato io, ma quando poi Annie Leibovitz è uscita sul palco in una mise, tutt’altro che formale per la serata e per il luogo in cui eravamo, al termine del suo discorso ho pensato che il messaggio fosse chiaro: una serata con Annie Leibovitz era molto più di quel che ci si poteva aspettare, non il suggerimento di qualche tips in merito alla sua tecnica, ma piuttosto una chiacchierata emozionalmente personale riguardo la sua vita attraverso i suoi scatti, molto intimi, che lasciavano trasparire la sua onestà facendo un resoconto a ritroso della sua vita, con ironia e malinconia: Scatti di famiglia, scatti di morte, scatti di affetti e celebrities. Annie Leibovitz credo si possa considerare la più influente figura femminile in ambito fotografico dei nostri tempi, ed effettivamente se si pensa ad un fotografo al femminile è difficile non pensare che a lei. Si potrebbe menzionare Anne Geddes indubbiamente, ma la sua fotografia di nicchia riferita esclusivamente ai bambini la svincola dal concetto di fotografa a 360 gradi. 

Annie Leibovitz, all’anagrafe Anna-Lou Leibovitz è nata a Waterbury, nel Connecticut nel 1949, terza figlia di sei. Di origine ebraica ha iniziato a fare fotografie quando suo padre, tenente colonnello dell’aviazione americana fu trasferito in Vietnam durante la guerra. La sua prima macchina fotografica fu una Minolta SR-T 101. La vita da espatriata su una station wagon, con 5 fratelli in continuo spostamento per via del lavoro del papà, unita alla raffinatezza bohémienne della mamma, appassionata di musica e danza, hanno indicato ad Annie la strada dell’arte fotografica come medium più veloce rispetto alla pittura per rappresentare la realtà che l’aveva portata ad iscriversi al San Francisco Institute con l’intenzione di diventare insegnante di arte;  intenzione che abbandonerà definitivamente in seguito dopo aver conosciuto e apprezzato il genere fotografico di  Robert Frank ed Henri Cartier-Bresson che la rapiscono al punto tale da scegliere la fotografia come: ‘Il mezzo per uscire nel mondo con uno scopo ben definito”. 

Di conseguenza comincia a fotografare ogni cosa, partendo dalla strada, i sentieri, gli oggetti più semplici ed i volti più vicini: la famiglia. E lo fa come fosse una sorta di lezione in un misto di determinazione e moderazione, alla quale è difficile dire quale delle due parti abbia prevalso. Ed ogni volta che fotografa, anche il medesimo soggetto, il tutto avviene in modo differente: le circostanze sono differenti, così come i luoghi, le dinamiche e le emozioni sono differenti.

Annie Leibovitz non perde tempo e durante gli anni di studio al San Francisco Art Institute, decide di andare in Israele a lavorare in un kibbutz. Una volta rientrata in America si presenta alla sede del Rolling Stone con alcune sue foto scattate durante una manifestazione contro la guerra in Vietnam e altre che aveva scattato in Israele e fu allora che Rolling Stone pubblicò in copertina una sua fotografia.

Questa collaborazione cominciata casualmente è stato il suo trampolino di lancio che l’ha portata innanzitutto alla sostituzione della sua Minolta con la Nikon, tre Nikon per la precisione perchè: “non c’era tempo da perdere nella sostituzione degli obbiettivi”: un 35mm, un 50mm e un 105mm.

Il contatto con Bea Feitler, direttore di Harper Bazaar che lavorava con Richard Avedon, le consente di capire come, oltre alla fotografia di guerra e di strada, la fotografia da magazine, unita al potere della rivista, possono essere sfruttati insieme. Inizia così a lavorare per fotografie da magazine con un direttore artistico, un editore e degli scrittori cercando però di utilizzare il magazine come veicolo a suo vantaggio: “le cose succedono senza che si possano fare accadere”: gli scrittori cominciano ad utilizzare fotografie per raccontare le loro storie, come succede con W.Eugene Smith su Life Magazine, in cui i testi sono affiancati ad immagini di persone malate, con parti del corpo amputate: dalle fotografie di Smith, Annie riesce a vedere senso di ritratto intimo, non però come unicamente riferito alla famiglia, ma alle situazioni della vita in generale.

Diversi sono i fotografi storici con  i quali da poco più che ventenne si è trovata a fare pratica: Hunter Thompson estremamente carismatico quanto introverso, Annie afferma che a lui non piaceva lavorare con la gente. A tal proposito la Annie Leibovitz degli inizi ricorda un episodio divertente quanto imbarazzante di come questo personaggio stravagante fosse stato fermato dalla polizia per la misurazione del  tasso alcolemico e lui gli avesse chiesto di scattare immagini, tante immagini nel mentre della situazione per la quale lo stesso poliziotto alla fine li ha lasciati andare. Pur non amando lavorare con la gente, Hunter l’ha voluta al suo fianco nella campagna presidenziale mantenendola però a distanza in modo da darle la possibilità di veder le cose a modo suo, di lasciarle mettere a fuoco i suoi concetti, aiutandola così a capire “il come vedere”. Tom Wolfe, altro fotografo, l’ha voluta con se in Florida per la missione dell’Apollo 17 nella quale anziché fotografare quello che tutti i fotografi presenti avrebbero fatto, lei si è messa a fotografare le espressioni dei fotografi intenti a immortalare la scena durante il lancio dell’Apollo 17. 

David Elton che le ha insegnato ad apprezzare i Beach Boys e l’ha introdotta nell’ambiente della commedia. 

Con il passare degli anni gli scrittori cominciavano a dare importanza alla fotografia e ad inserire fotografie per raccontare le loro storie perchè avevano intuito che i fotografi avevano prospettive  differenti dalle loro, dalle quali ricavare spunti.

 L’ultimo lavoro con Hunter fu quello delle dimissioni di Nixon: mentre gli altri fotografi si concentravano su Nixon che saliva sull’elicottero, lei fotografava i due sodati che arrotolavano il tappeto rosso steso per arrivare al mezzo.

Larry Schiller fu un altro fotografo che lei definì geniale, per le modalità e gli esperimenti che faceva con la macchina fotografica e che la portarono a voler conoscere le tecniche  fotografiche concettuali di tutti i grandi fotografi. 

Negli anni ’70, su esplicita richiesta di Mick Jagger prende il posto di Robert Frank, lavorando con i Rollling Stone, e seguendoli nel tour del concerto: un esperienza che lei stessa definì ”surreale, estrema: centinaia di rullini prima, durante e dopo il concerto. Devastati dalla stanchezza dalla droga e dal sesso”. Poche furono le immagini pubblicate allora perchè considerate troppo forti. Immagini che ora Annie Leibovitz condivide con noi attraverso i suoi racconti e il suo libro. 

Dopo aver lavorato per la rivista Rolling Stone nel 1983 ha firmato il contratto con Vanity Fair. Una scelta inizialmente difficile per via del fatto che Irving Penn era il fotografo ufficiale di Vanity Fair, supportato da Ruth Ansel, direttore creativo, che l’aveva relegata al ruolo di pubblicitaria. 

Fu Tina Brown, succeduta a Ruth Ansel a ridarle il suo ruolo di fotografa. Da lì la prima campagna da lei studiata e fotografata per American Express: Molto semplice una fotografia a ritratto di personaggi famosi, con la scritta: “Cardmember dal XXXX…essere membro ha i suoi privilegi” Semplice, pulita, immediata. E come loro tanti volti noti e famosi che si prestavano per due giorni di lavoro: uno per conoscersi e parlare ed uno per scattare. Dal 1987 al 1992 ha scattato un migliaio di fotografie per la campagna American Express  e dopo di questa per la campagna GAP,  più grafica che ritrattistica, per la quale ha imparato a lavorare con i fondali. 

Fondali grigi, mai bianchi.

Senza menzionare gli innumerevoli premi alla carriera e le onorificenze ha fotografato tanti personaggi nel corso degli anni: dai Rolling Stone a John Lennon nell’iconica immagine che lo ritrae nudo avvinghiato alla moglie Yoko Ono. Sarà la sua ultima fotografia scattata il giorno prima della sua morte. E poi Ella Fitzgerald, Whoopi Goldberg, Keith Haring, Andy Warhol,  Arnold Schwarzenegger, Irene Williams, Meryl Streep, Al Sharpton, Mikhail Baryshnikov, Bruce Willis e Demi Moore, Cyndi Sherman, Carl Lewis, Charles Austin, O.J.Simpson in tribunale, Puff Dady e Kate Moss, Ben Stiller,Stephen Hawking, Sally Mann  Natalia Vodianova, Christian Lacroix, Keira Knightley and Jeff Koons, Tony Curtis e Jack Lemmon, Patty Smith, LeBron James, l’artista Christo completamente impacchettato,  l’amministrazione Bush al completo, Michelle e Barack Obama, Trump e Melanie prima che diventasse presidente degli USA, Hillary Clinton,Johnny Deep e Nicole Kidman, Anna Wintour, la regina Elisabetta in due differenti occasioni: la prima ritratta in un abito dorato e a distanza di anni, per suo volere accanto alla figlia Anna e ai suoi adorati cani. Le immagini ritratte da Annie Leibovitz potrebbero essere comparate ai ritratti artistici nelle loro sperimentazioni da Andy Warhol. Le ultime immagini la vedono fotografa ufficiale per il film Mary Poppins interpretato da Emily Blunt, Meryl Streep e Dick Van Dyke, a breve nei cinema. A fianco di tutti questi questi portrait e scene succedute negli anni: le immagini della guerra di Sarajevo, scene di dolore legate all’agonia del papà o della compagna di una vita Susan Sontag, fotografie dei figli e della mamma, fotografata quando ancora era agli esordi e poi da fotografa ufficiale, in età avanzata. Tutto questo bagaglio le ha dato, senza fare sconti, la possibilità di eccellere nell’abilità di cogliere le sfumature emozionali che ha saputo evidenziare mettendo in risalto le necessità, i virtuosismi, l’espressione della gente, ma anche i brogli.  Ognuno dei personaggi fotografato ha lasciato che Annie entrasse dentro di loro, nella loro intimità, nel loro essere più o meno coscientemente parte del mondo di Annie Leibovitz.

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