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Il Rubell Museum, che ha recentemente aperto la sua seconda sede a Washington D.C., per la Miami Art Week ha puntato i rifllettori, oltre che su alcuni pezzi cult che compongono la collezione permanente del museo, sulle grandi tele realizzate dall’artista Alexandre Diop.
Quando si tratta di trovare nuovi talenti da lanciare nel panorama artistico internazionale Mera e Don Rubell, supportati dai figli Jason e Jennifer, sono imbattibili.
Il loro approccio alla scoperta degli artisti è di vecchio stile: la conoscenza personale dell’artista e la visita nel suo studio sono di prassi, in qualsiasi luogo nel mondo egli si trovi, lo incontrano e dialogano per esplorarne i significati e le idee che sono alla base del processo compositivo dell’artista.
Sono molteplici gli artisti per i quali i Rubell hanno fatto da trampolino di lancio e che a seguito della loro esposizione nel museo sono richiesti dalle gallerie di tutto il mondo che li proiettano in un universo parallelo dove le cifre di quotazione diventano importanti quanto la richiesta di mercato.
Fra gli artisti che i Rubell hanno proiettato nel facoltoso mondo dell’arte, c’è il leggendario Keith Haring che hanno conosciuto quando erano ancora due semplici giovani e ambiziosi appassionati di arte. Eppure Mera e Don Rubell hanno creduto in lui, lo hanno sostenuto e sovvenzionato proiettandolo nell’ambizioso mercato dell’arte facendone in seguito, la sua -e la loro- fortuna. In vista al museo, oltre ai pezzi classici della collezione, c’è una una curiosa e poco conosciuta serie di opere che Haring ha realizzato per loro, quando il figlio Jason era ancora in fasce.
Da quando hanno allestito la loro collezione, che ha assunto in seguito il titolo di museo, sono stati tanti gli artisti che hanno spiccato il volo grazie alla residenza artistica effettuata dai Rubell, fra questi: Allison Zuckerman, Genesis Tramaine, Reginald O’Neal, Hernan Bas e Otis Kwame Kye Quaicoe, fiore all’occhiello della scorsa edizione di Art Basel/Miami Beach.
Amoako Boafo, artist in residence del 2020, tra tutti loro è sicuramente quello ha convinto di più la platea mondiale e le cui opere, ricercatissime, hanno raggiunto quotazioni da capogiro.
Alexandre Diop è l’ultima scommessa dei Rubell ma da una prima occhiata parrebbe poter essere il prossimo pezzo da novanta del mercato dell’arte.
Alexandre Diop, è un artista di origine franco senegalese che attualmente vive a Vienna. Il suo dinamismo lo ha condotto dal teatro alla musica fino all’arte figurativa: una tipologia di arte che l’artista ama anche se non disdegna l’idea di tornare alla musica, magari combinando le due cose, poiché la musica lo accompagna sempre durante il processo produttivo.
Le opere gigantesche di Alexandre Diop, costituite anche da trittici e polittici, esplodono letteralmente sulle pareti della hall centrale. Lì lo spettatore può comodamente osservarle in uno sguardo d’insieme stando seduto sulle comode Diamond Chairs di Henry Bertoia, disposte al centro della stanza. Per poter apprezzare però la creatività e il genio di questo giovane artista è necessario avvicinarsi per apprezzare e stupirsi degli infiniti dettagli delle sue opere.
È solo osservando da vicino che ci si rende conto di trovarsi davanti a delle sculture più che a dei quadri bidimensionali, dove, i materiali di scarto recuperati dalla strada -tra i quali: chiodi, catene, cerniere, mastice, calze di nylon, scarti di legno, fil di ferro, lattine di alluminio, libri, divani e tanto altro- sostituiscono l’uso canonico del colore, che accompagna comunque le sue opere seppure in maniera limitata e secondaria. La pratica del recupero è del resto una pratica comune e quotidiana del popolo senegalese.
Per enfatizzare ulteriormente la materialità con la quale egli compone parte anatomiche o particolari utili nella narrazione della sua storia, brucia letteramente i materiali con il fuoco e intreccia a mano il fil di ferro, che poi inchioda o spilla sulla composizione fino a creare delle texture straordinarie che rivelano l’intensità del suo soggetto e le ferite della carne umana.
Nelle sue composizioni, nelle quali mette in risalto tutta la sua creatività accompagnata dalla conoscenza dell’anatomia umana, esprime il sincretismo della sua visione artistica, ispirata dalle sue radici africane ed europee che sfociano in temi diasporici.
Temi che rivelano come il lato nascosto del mondo antico entra in conflitto con la modernità e con le tradizioni ereditate dal colonialismo con i quali mette in risalto il tema della sofferenza storica che attraversa secoli di schiavitù e inganni.
“Ogni opera di Diop è un’esplosione. Non possiamo dire da dove viene o prevedere dove andrà, ma non è difficile capire come l’artista si collochi tra i grandi maestri e tra lo status quo, a volte deprimente, della scena artistica contemporanea. L’arte di Diop è l’arte della sfida,” dichiara Mara Niang, Doctorial candidate at The University of Applied Arts Vienna and the University o Art and Industrial Design, Linz, Austria.
Con una creatività di pensiero incredibile e la versatilità di pensiero che possiede Diop ha adattato i materiali in funzione non solo delle trame in sottofondo , parimenti ricche di dettagli, ma anche la composiozine dell’anatomia umana – ha una predilezione per l’arte figurativa- realizzata per esempio con le cerniere normalmente utilizzate in edilizia e con le quali ha costruito la colonna vertebrale della figura femminile dell’opera “Honi soit qui mal y pense”, che rimanda all’arte degli old masters. Ci sono moltio riferimenti alla storia delll’arte nelle sue composizioni ed è semplice riuscire a distinguere alcuni suoi riferimenti, come i personaggi di Egon Schiele o di Jean-Michel Basquiat.
Ma queste sono solo alcune delle particolarità dell’opera di Alexandre Diop, che Miami Niche vi invita a scoprire di persona presso il Museo Rubell in Allapattah, Miami
(On the title, (detail of) 1685-Marronage-Déméneger-Remplanter, quadriptych, overall 243.8 x 487.6 cm)