SPECIALE MIAMI ART WEEK-Il mio nome è Maryan al MOCA-Museum of Contemporary Art, North Miami.

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Il MOCA -Museum of Contemporary Art North Miami- in concomitanza della Miami Art Week ha allestito la mostra, retrospettiva: ” My name is Maryan”, in esposizione fino al 20 marzo, 2022.  Maryan S. Maryan è il nome d’arte che l’artista Pinkas Bursztyn -dal cognome da nubile della mamma- ha adottato come atto di auto-definizione radicale dopo la liberazione dai nazisti, che lo hanno lasciato come unico sopravvissuto della sua famiglia. 

La retrospettiva espone le opere di questo artista, struggente ed innovativo, che nell’arco della sua breve ma prolifica vita -morì d’infarto a soli cinquant’anni- è stato tra i primi artisti-testimoni a rappresentare direttamente l’esperienza drammatica, della Shoah, pur rifiutando l’etichetta di “artista dell’Olocausto”. 

Maryan ha offerto, con la sua vita e attraverso le sue opere, un motivo di speranza: pur essendo testimone di crudeltà, oppressione e sfruttamento, è stato un artista resiliente e coraggioso.

Maryan and his wife Annette in New York

La mostra attraverso questa retrospettiva ribadisce l’importanza della “Universal Declaration of Human Rights”, del 1948 al volgere della Seconda Guerra Mondiale, nella quale si stabilisce che : ”I diritti umani non esistono nell’occhio di chi guarda. Si basano non sui capricci di un particolare governo, ma sul riconoscimento che tutti gli esseri umani, ovunque essi siano, di qualsiasi religione, sesso o razza facciano parte, hanno uguali diritti inalienabili, e ognuno, come membro della famiglia umana, merita di essere trattato con dignità.”

Self Portrait by Maryan, 1952. Oil on cavas. Private collection

Nato nel 1927 da una famiglia ebrea tradizionale e operaia, Pinkas e la sua famiglia furono catturati nel 1939 dai nazisti. Da lì ha ebbe inizio il suo viaggio verso l’inferno rimanendo l’unico sopravvissuto della famiglia. Fu imprigionato in vari campi di lavoro forzato per poi finire nei campi di concentramento di Auschwitz e Birkenau. Pur avendo subito l’amputazione di una gamba, l’artista si è trovato più di una volta faccia faccia con la morte che lo ha tuttavia risparmiato consentendogli di vivere una vita che come ha definito l’artista: ”non è più vita”

Con il finire della guerra, nel 1947, emigrò nell’allora Palestina per iniziare la sua formazione artistica, prima a Gerusalemme e poi all’École des Beaux-Arts di Parigi, città nella quale espose in gallerie importanti, forgiando uno stile distinto indipendente ma adiacente all’École de Paris e al gruppo CoBrA.

One of the Round painting by Maryan, 1975

Negli anni ’60 emigrò a New York, nel famoso Chelsea Hotel, dove sviluppò il concetto di “personnage”: figure sia storiche che fittizie -che diventano in età matura, il soggetto delle sue opere- utilizzate per esplorare i tropi psicosessuali e caratterizzate da accostamenti di colore talmente forti da risultare tragici. I “personnage” sono ricchi di simboli, leggibili come la Stella di David e i cappucci a punta che riecheggiano l’Inquisizione spagnola e il Ku Klux Klan, così come sono ricchi di riferimenti esoterici e personali. I personaggi sono quasi sempre situati in ambienti spaziali claustrofobici, come le scatole. Queste ultime saranno rappresentata anche negli anni successivi, nei suoi quaderni, come riferimento diretto alla sua esperienza nei campi nazisti.

L’ultimo decennio di vita di Maryan S. Maryan è stato  emotivamente e fisicamente turbolento quanto estremamente prolifico. La malattia post-traumatica e la ricaduta psicologica delle esperienze trascorse da ragazzino lo travolsero nei primi anni ’70. Fu allora che, in cura da uno psichiatra, riempì quaderni su quaderni di disegni e testi che forniscono approfondimenti sulla sua biografia e sui motivi ricorrenti della sua arte. Disegni che sono esposti digitalmente e a rotazione al MOCA, insieme ai cimeli del film nel quale l’artista rende una testimonianza in prima persona delle sue esperienze nei campi di prigionia nazisti con immagini di altri movimenti di protesta sociale.

The reconstruction of The Chelsea Hotel in New York at MOCA

Nella retrospettiva sono presenti tutte le opere che caratterizzano le sue fasi di vita. La mostra si apre con l’unico autoritratto prodotto dall’artista quando era studente all’École de Beaux-Arts di Parigi. L’opera, che rimanda ai colli allungati di Modigliani e allo stile di Chaïm Sautine, rappresenta in apparenza un giovane pacato e sereno. Analizzando l’opera è possibile vedere una delle pallottole ricevute dai nazisti sotto l’occhio sinistro. 

One of the mask

La ricostruzione della stanza del New York’s Chelsea Hotel, porta lo spettatore a rivivere in maniera immersiva gli ambienti frequentati dall’artista. Il New York’s Chelsea Hotel, era chiamato anche la “Ellis Island dell’avanguardia”, per via della fatto che era un’enclave bohémien usata come casa-studio per artisti come: Jackson Pollock, Tennessee Williams e Niki de Saint Phalle, era il centro nevralgico per l’arte.

Fra le opere esposte nella stanza del New York Chelsea Hotel ci sono, oltre ad alcuni oggetti che Maryan ha collezionato, alcune opere inerenti la crocifissione, dei dipinti tondi e un raro polittico. Nei dipinti cruciformi che esaltano il tema del vittimismo e del sacrificio Maryan, ha fatto spesso riferimento alla sofferenza umana di Gesù Cristo, rappresentando figure di personaggi singolari in esagerati stati di angoscia e sofferenza. I dipinti tondi rimandano invece alla “teste di Wawel”, opere  prodotte nel laboratorio degli scultori gotici Sebastian Auerbach e Hans Snycerz intorno nel 1540 e installate sul soffitto a cassettoni del castello di Wawel. Le teste realizzate da Maryan sono tipiche del suo stile. Nella stanza ci sono anche tante maschere di origine africana, oceanica e messicana, che rappresentano per l’artista il netto allontanamento dalle convenzioni occidentali del realismo a favore dell’astrazione. Sono la controreplica ispiratrice al canone della tradizione artistica occidentale, che per secoli ha privilegiato il ritratto realistico e la bellezza idealizzata derivata dagli antichi standard greco-romani a favore di visi che hanno fornito un altro modo di immaginare l’espressività del volto umano.

The Black and White series by Maryan

Maryan lavorava spesso in serie, esplorando variazioni dello stesso tema. Sua moglie Annette ha scritto, a proposito delle sue abitudini in studio, che: “la pittura era la sua “liberazione e una volta che iniziava a lavorare su una tela, di solito cercava di finirla il giorno stesso”.

Se l’uso esuberante del colore è una delle caratteristiche del lavoro maturo di Maryan, l’uso dell’inchiostro nero -che mette in evidenza le abilità artistiche di Maryan- è stato un aspetto singolare e determinante della sua pratica nella serie Black and White. In questa serie l’artista evoca un certo numero di antecedenti storici dell’arte che hanno influenzato il suo sviluppo, da Goya a George Grosz e Max Beckmann a Fernand Léger. In questa serie rappresenta alcuni dei personaggi che compariranno nelle sue opere anche nel corso dei decenni a seguire: la figura maschile con le orecchie d’asino, una figura torturata con le gambe in aria e figure con strani cappelli a punta.

One of Maryan’s typical work

Il ritmo vigoroso e liberatorio dell’artista è evidente nella serie di disegni di Napoleone realizzati a pastello nel 1973-74, nei quali Maryan trasforma il leader francese Napoleone Bonaparte (1769-1821) in una caricatura grottesca dell’assurdità e della crudeltà umana.

Se la regalia militare e il caratteristico cappello a bicorno, sono elementi che rimangono invariati nella serie Napoleone, il personaggio è invece mostrato in vari stati di sofferenza – sudorazione, vomito, con la testa impiastricciata. La scelta di Napoleone come soggetto sembra legata al complicato rapporto di Maryan con la Francia militare e la negazione della cittadinanza da parte del governo francese.

One of the Napoleon series by Maryon

Maryan era uno studente vorace e astuto degli old masters che lo hanno preceduto e che sono stati per lui delle vere e proprie muse ispiratrici, ai quali fa più volte riferimento nella serie, “Dopo….” Tra gli artisti che più lo hanno appassionato ci sono: Velazquez, Hals, Rembrandt, Vermeer e soprattutto Goya, che con la sua opera “Il Tribunale dell’Inquisizione”, raffigura la barbarie e la pubblica tortura degli “eretici” ebrei da parte del clero cattolico spagnolo.

After Goya by Maryan, 1964. Oil on canvas.

L’esuberante scena artistica del New York Chelsea Hotel è sperimentata prima anche a Parigi durante gli anni di studio all’Ecole National Supérieure des Beaux-Arts nel 1950, dove pur non essendosi mai allineato a nessun gruppo artistico in particolare, ha avuto modo di conoscere personaggi emblematici e affermati, simbolo dell’arte post-bellica, fra loro: Pablo Picasso, Jean Dubuffet, Alberto Giacometti, il suo ex insegnante Fernand Léger e Jean Atlan. Quest’ultimo,  artista e poeta franco-algerino, in particolare fu uno dei massimi esponenti del collettivo CoBrA -nome che deriva dalla contrazione di Copenaghen, Bruxelles e Amsterdam- che ha affascinato in maniera particolare Maryan. Il gruppo CoBrA, nell’abolire le divisioni tra arte figurativa e astrazione, era politicamente contrario al Nazismo e favoreggiava le pratiche artistiche sperimentali: l’arte non occidentale, i lavori dei bambini e dei pazienti psichiatrici, creando una visione unica del modernismo. Nella galleria del MOCA ai primi lavori chiave di Maryan è giustapposta una emblematica selezione di opere di artisti CoBrA provenienti dal NSU Art Museum Fort Lauderdale. 

Similarities between Maryan and the CoBrA collective

Il periodo più prolifico di Maryan fu quello di New York a partire dagli anni ’60 fino alla morte. Nella città americana iniziò ad esporre alla Allan Frumkin Gallery, stringendo amicizie con artisti famosi come H.C.Westermann e June Leaf, Leon Golub e i “Monster Roster”, artisti di Chicago della metà del secolo. Il periodo americano di Maryan comprende diversi corpi di lavoro distinti che si espandono sul suo paradigma del personaggio legato ai temi psicosessuali nei quali emergono forme falliche simili a serpenti con figure umane. Verso la fine degli anni 1960, i personaggi di Maryan diventano più astratti e frenetici. Essi sono spesso dipinti su fondi solidi dai colori brillanti che contrastano con le forme umanoidi, molte delle quali sono ridotte solo a mani e bocche.

One section of My name is Maryan, at the MOCA Museum

L’identificazione ebraico-cristiana di Maryan è esplicitamente esplorata nel film, realizzato nel 1975 in collaborazione con l’amico e collega Kenny Schneider dal titolo: “Ecce Homo”,che rappresenta il culmine della elaborazione delle sue esperienze, come tentativo di creare un’equivalenza tra l’Olocausto e le lotte socio-politiche dell’epoca. Il film, che prende il nome dalla frase latina frequentemente utilizzata nell’arte cristiana, è il racconto tragico e commovente fatto, in prima persona da Maryan, con immagini fisse di eventi storici contemporanei e immagini dell’epoca di soggetti politici controversi. La performance è un grido di dolore e misericordia per una vita tutt’altro che facile nella quale l’idea di uccidere un tedesco risulta essere una soluzione buona solo a livello mentale perchè di fatto l’artista, dichiarandosi incapace di uccidere un essere umano, spara invece con delle baionette a dei dummies che rappresentano i funzionari tedeschi.

From the movie Hecce Homo by Maryan and Kenny Schneider

My name is Maryan inserisce le opere complesse di questo artista  in una grande narrazione della storia dell’arte europea e americana del dopoguerra, nella quale Maryan forgia una forma di umanesimo provocatorio e allo stesso tempo interrogativo che ha lui stesso soprannominato “pittura della verità.”

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