Quel che vedi è ciò che si vede – il mantra di Frank Stella – tra esperimenti e cambiamenti.

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Si è conclusa, dopo il prolungamento di 20 giorni rispetto a quanto inizialmente stabilito, l’esposizione di Frank Stella, Experiment and Change, al NSU Art Museum di Fort Lauderdale che ha celebrato il 60 ° anniversario di fondazione.

Credo di aver visitato l’esposizione almeno dodici volte, trovandomi a pensare alla grandezza della conoscenza di quest’uomo soprattutto in relazione all’improvvisazione di oggi, cercando di vedere con la sua ottica (dopo averlo studiato per bene) le opere, e l’ho trovato davvero immenso nel suo percorso artistico sempre alla ricerca di quel qualcosa in più che lo ha mantenuto un passo avanti rispetto ai tempi che correvano. La sua opera Agua Caliente del 1970, mi ha tenuta ancorata alla panca di fronte, per tanto tanto tempo, così come Paradoxe sul le Comediene, della serie Diderot del 1974.

L’allestimento curato da Bonnie Clearwater, Direttore e Chief Curator del museo e presentata da AutoNation, ha raggruppato 300 opere provenienti da diverse collezioni private spaziando tra opere provenienti dai diversi periodi di carriera.

Non una vera e propria retrospettiva, casomai l’esposizione di 60 anni di lavoro con conseguenti variazioni, non di pensiero ma di conoscenza e di tecnica. Le opere coprono un periodo che parte dai tardi anni 50 ai giorni nostri, in un costante sperimentare che ha portato Stella ad essere considerato parte del minimalismo Post Painterly Abstraction , post-astrattivo, (termine coniato dal critico Clement Greenberg per l’esposizione del 1964 a Los Angeles), fino al massimalismo, con le costruzioni spaziali complesse e le opere della serie Moby Dick: 135 opere ciascuna con il titolo del capitolo relativo al libro di Herman Melville, al tempo bruscamente contestato dalla critica.

Oltre all’esposizione vera e propria un’intera ala del museo è stata dedicata agli studi preparatori con sketches, disegni, plastici e a maquette, mai esposti in precedenza.

Frank Stella è indubbiamente uno degli artisti più interessanti, completi e prolifici del giorno d’oggi: è pittore, scultore ed incisore. Non si è limitato a produrre arte, ma la profonda conoscenza delle differenti discipline, fra le quali la storia dell’arte, l’architettura, la geometria e l’uso della tecnologia in digitale lo hanno portato a stare al passo con i tempi in termini di tecniche di progettazione e produzione – sono un esempio i modelli stampati in 3D – consentendogli di realizzare opere tridimensionali su larga scala usufruendo così di uno spazio di lavoro più generoso, sul quale ha lavorato utilizzando materiali differenti come il pigmento fluorescente, la fibra di carbonio  e il titanio, fra i tanti.

Nato a Malden, Massachusetts, nel 1936, si laurea alla Princeton University in storia e pittura, per poi trasferirsi a New York, città considerata dal punto di vista artistico molto interessante, vista la presenza provocatoria e selvaggia di personaggi come Pollock, Rothko e de Kooning. A New York, dove ancora oggi ha sede il suo studio (dal quale fa il pendolare  avanti e indietro) reagisce alle idee espressioniste di allora in favore di un tipo di pittura più razionale, caratterizzata da pennellate piatte, forme geometriche e colori accesi che non danno illusioni pittoriche o riferimenti psicologici come la pittura precedente, ma enfatizzano l’opera come oggetto in sé e non più come mera rappresentazione di un qualcosa. Celebre è la sua massima: What you see is what you see – Quel che vedi è ciò che si vede – inteso come il rifiuto all’approccio metafisico e spirituale nella lettura dell’opera così com’era sempre stato, in favore di un approccio derivante dall’esperienza ottica dello spettatore data dalle linee, della forma, dal colore e dalla composizione dell’opera stessa.

L’arte di Jasper Johns, esposta alla Leo Castelli Gallery (che nel tempo ha rivoluzionato il modo di vedere e vendere arte e che lo rappresenterà, a sua volta, a partire dal 1960) le sue bandiere e l’uso che fa dell’encausto, hanno una forte influenza sull’arte di Stella ed è partendo dalla curiosità per le opere di Johns che inizia a sperimentare strisce colorate per conto suo. Nel 1958, mentre lavora a Delta, opera emblematica, in preda ad uno scatto di rabbia dipinge l’opera con dell’altro nero andandosene poi a dormire. Il mattino seguente guardandola la trova eccezionalmente piacevole perchè le bande nere sul nero l’avevano semplicemente semplificata. Nel 1959 nascono i Black Paintings in cui bande regolari di vernice nera da imbianchino (Stella utilizza abitualmente la pittura da casa per le sue opere, discostandosi anche in questo dal convenzionale modo di concepire l’arte) sono separate da sottili bande di tela non verniciata. Il motivo a strisce funge da sistema di regolazione che, nelle parole di Stella, costringe “lo spazio illusionistico fuori dal dipinto ad un ritmo costante”. Ma è nel 1960 grazie alle vedute lungimiranti di Dorothy Miller, curatrice del MOMA, che Stella è riconosciuto per le sue innovazioni e prima di compiere i venticinque anni partecipa con Robert Rauschenberg, Jasper Johns e altri 13 nuovi talenti americani all’esposizione “Sixteen Americans”. Nel 1970 avrà l’onore di essere il più giovane artista ad avere una retrospettiva al MOMA di New York, nonchè attualmente l’onore di avere una seconda retrospettiva, da artista ancora in vita, al Whitney Museum  nel 2015.

Nel 1960 inizia a produrre dipinti in alluminio e rame intagliati e opere che, nella loro presentazione di linee regolari e di colori separati da sottili linee grigie, ricordano i Black Painters degli esordi in una più vasta gamma di colori. Passaggio fondamentale nell’arte di Frank Stella, nel 1960 comincia a dipingere con forme di intelaiatura che si discostano dalle canoniche forme di quadrato o rettangolo, e riferendosi ai vari generi nella storia dell’arte, Stella sostiene che da sempre l’arte è stata composta in molteplici forme: ne sono un esempio i rosoni delle cattedrali, piuttosto che i murales, le finestre o le porte che da sempre spezzano la regolarità del perimetro delle forme. I suoi dipinti cominciano così ad avere forma di L, T, O per poi trasformarsi nel 1966 con i poligoni irregolari in tele dalle forme geometriche irregolari caratterizzate da ampie aree di colore ininterrotte. Nella serie ancora più complessa Protractor -goniometro- intorno agli anni ‘70, Frank Stella oltre ai bordi dritti,  introduce gli archi e le curve che possono essere creati con un goniometro. Nei suoi dipinti le linee rette forniscono una struttura stabilizzante per le curve che si rompono e si riformano intorno alle interruzioni di forme successive. A queste linee di base, Stella aggiunge una forte dose di colore, utilizzando anche colori fluorescenti, che talvolta potrebbero sembrare azzardati ma sui quali Stella mantiene sempre il controllo, come fa con la composizione delle forme. I protractor sono tutti su larga scala e molti di essi utilizzano le innovative tele sagomate, accentuando le curve e facendo emergere le opere sotto un’altra prospettiva, come se fossero una combinazione di pittura e scultura, giocando con lo spazio e l’illusione e dando l’idea di un pezzo tridimensionale mantenendo invece la superficie completamente piatta.

I dipinti di questa serie prendono il nome da antiche città mediorientali dai vecchi piani circolari che Stella aveva visitato durante i suoi viaggi e che avevano catturato la sua attenzione al punto da prenderne nota.

Verso la fine egli anni 60 comincia a produrre stampe con l’utilizzo della stampatrice Kenneth Tyler presso Gemini G.E.L. utilizzando la litografia, la serigrafia, l’incisione e la litografia off set, o stampa off-set, che garantisce una maggiore nitidezza delle immagini. Negli anni ’70 esplora nuove vie artistiche, incorporando collage e rilievi nei suoi dipinti come se fossero un’estensione delle bande di colore a strati dei suoi lavori precedenti. Dopo l’introduzione del legno e dell’alluminio, passa dal minimalismo iniziale fatto di linee e pochi colori alle forme curve, ai colori Day-Glo fluorescenti, e a pennellate quasi scarabocchiate.

Sulla base di questo interesse Stella elabora la serie Exotic Bird e Indian Bird, presentando un assemblaggio di forme in alluminio verniciato che sporgono dal muro e che riflettono il suo crescente interesse per la tridimensionalità e le trame dinamiche. Interesse questo che lo porta a creare opere scultoree caratterizzate da elaborati intrecci di curve e spirali.

Verso la metà gli anni ’80 si dedica alla pittura maximalista così definita per le dimensioni delle opere talmente esuberanti da essere in sorprendente contrasto con i dipinti neri che lo avevano portato per la prima volta agli occhi del pubblico.

Le tele sagomate assumono forme ancora meno regolari e introduce elementi di collage, ad esempio pezzi di tela incollati su compensato che lo portano a creare opere sempre più complesse fino ad arrivare a quelle tridimensionali in metallo di grandi dimensioni, che possono essere considerate sculture vere e proprie viste le dimensioni e il peso per le quali lo stesso museo di Fort Lauderdale ha dovuto rinforzare i muri. Stella considera la scultura un dipinto a tutti gli effetti affermando che: “Una scultura è solo un dipinto ritagliato che si è alzato da qualche parte”.

Stella ha prodotto più di 55 serie fino ad oggi per un totale di circa 3.000 opere d’arte. Oltre ai numerosi riconoscimenti ricevuti fra cui le lauree ad honorem ricevute dalla Princeton University, dal Dartmouth College e dalla Brandeis University in Massachusetts, la National Medal of Arts del 2010, ricevuta a Washington dal presidente Barack Obama,  e il recente Watch Award from World Monuments Found del 2017, a Frank Stella va senza ombra di dubbio il merito, oltre che l’onore, dei discorsi tenuti al Pratt Institute di Brooklyn nel 1971 e gli scritti Working Space della prestigiosa cattedra Charles Eliot Norton alla Harvard University. In questi due prestigiosi eventi Stella ha parlato dello studio assiduo attraverso l’imitazione e la ricerca dei processi intellettuali, emotivi e dei trucchi illusionistici dei grandi classici dell’arte, fra questi in primis Caravaggio e Rogier Van Der Weyden,ma anche Rubens e Velasquez, che hanno avuto una forte influenza su di lui,  e attraverso i quali è arrivato alla conclusione che anche i vecchi maestri erano artisti che realizzavano le loro opere mediante stratificazione portandolo a trovare il suo personale concetto di arte bypassando problematiche spaziali e metodologiche nella pittura alla terza dimensione.

 

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