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Con il Lowe After Hours, evento sponsorizzato Bacardi, di giovedì 5 ottobre si è ufficialmente aperta l’esposizione POP ART Print, al Lowe Museum di Coral Gables, aperta fino 17 dicembre. Come già anticipato, l’esposizione si compone di 37 pezzi per la maggior parte degli anni 50/60, provenienti dallo Smithsonian American Art Museum di Washington in una rosa di artisti che costituiscono la formazione ufficiale della Pop Art al completo: Robert Rauschenberg, Jasper Johns, Jim Dine, Allan D’Arcangelo, Roy Lichtenstein, Robert Indiana, Claes Oldenburg, Andy Warhol, Mel Ramos, James Rosenquist e Tom Wesselmann.
Untitled,1972, R. Rauschenberg.
Robert Rauschenberg e Jasper Johns possono essere considerati i precursori della Pop Art Americana, e anche loro come altri artisti della Pop Art hanno avuto un background nell’ambiente pubblicitario. A Rauschenberg in particolare, si deve l’invenzione dei “combine painting” con l’impiego di materiali e oggetti non tradizionali come fotografie e ritagli di giornali, combinati all’uso del colore e trasferiti su tela attraverso il processo di silkscreen. Il Silkscreen o serigrafia, ha consentito a Rauschenberg, per primo, di affrontare la riproducibilità multipla delle immagini consentendo in seguito agli altri artisti di sfidare l’idea dell’arte tradizionale.
Untitled, from Portfolio AToolBox,1935 Dine
Jim Dine, utilizzando i colori luminosi, lo stile chiaro e lineare della Pop Art ha utilizzato la tecnica di Rauschenberg interrogando il potere di particolari simboli iconici a lui cari: il cuore, e i Tool Box, la “scatola degli attrezzi” onnipresente nei garage americani. Li ha isolati, incorniciati ed elevati a strumenti ideali per la rappresentazione nel nuovo lessico pop degli oggetti quotidiani. Gli utensili raffigurati nella serie Tool Box sono stati tagliati da riviste di design industriale e manuali di ingegneria e poi stampati su differenti superfici, sul modello delle combinazioni di Rauschenberg.
GrayAlphabets,1968part. J. Johns
Jasper Johns si appropria dell’iconografia popolare utilizzando invece mappe, bandiere, lettere e numeri, i “flat signs”, di immediata decifrazione: oggetti e simboli tipici della società di massa, che consentono mediante una serie di associazioni familiari di rispondere alla ricerca percettiva volta alla rivalutazione di un cliché visivo ormai privo di contenuto per eccessiva familiarità e trasformato in una pittura astratta e figurativa, che elimina ogni divisione gerarchica tra materiale artistico e non.
Forehead I, 1968- Rosenquist
James Rosenquist è stato invece tra i primi ad affrontare il potere persuasivo, persino ingannevole della pubblicità, applicando la pratica surrealista di sovrastampare soggetti, apparentemente non correlati, a immagini commerciali e pubblicità in modo da evidenziare l’onnipresenza degli annunci. La sua è una pittura policroma che esaspera dettagli di oggetti banali, decontestualizzati, e spunti tematici facenti parte della vita quotidiana, combinandoli in modo tale da fonderli insieme, e connetterli.
Flying pizza 1964, Oldenburg
Claes Oldenburg nei primi anni di produzione che precedono le imponenti figure che lo caratterizzeranno in seguito, fonda la sua arte sul consumismo legato al cibo, concentrandosi su disegni facilmente comprensibili da chiunque, caratterizzati da colori molto accesi, talvolta “colanti” che rappresentano ciò che l’ipernutrita popolazione americana consumava negli anni ’60. Il cibo di Oldenburg, in quanto oggetto di consumo, si carica di un’accezione di orrido, perché svalutato dal suo ruolo primario e ridotto a mero prodotto commerciale.
Tobacco Rose,1965 Mel Ramos
Mel Ramos è meglio conosciuto per i suoi dipinti di “voluttuosi nudi femminili” accanto a loghi di marca. L’abbinamento donne prodotti consumistici come sigarette piuttosto che snack o bibite funge da spunto di riflessione sul modo con cui il capitalismo ha impiegato il corpo femminile in un tema che direi è tutt’altro che superato.
Love, 1967. R. Indiana
Il lavoro di Robert Indiana consiste invece nell’uso di immagini iconiche molto semplici ma coraggiose. Il suo esempio più conosciuto è LOVE, parola per antonomasia del movimento hippie. Love in lettere maiuscole, disposte in un quadrato con una lettera inclinata “O”. L’immagine rossa-verde-blu in esposizione, è stata creata per un cartoncino di Natale per il Museo d’Arte Moderna nel 1964.
Landscape III,1965. A. D’Arcangelo
Allan D’Arcangelo balza all’occhio per i suoi dipinti di autostrade e cartellonistica stradale: icone, archetipi monumentali dell’autostrada americana che sembra vogliano evocare una prospettiva cautelativa sul futuro del paese americano.
Big Blonde1989, T. Wesselman
Tom Wesselmann è considerato uno dei maggiori artisti della New York Pop Art, insieme a Roy Lichtenstein e ad Andy Warhol. La più famosa delle sue serie è “Great American Nude” del 1960, caratterizzata da figure piatte in una tavolozza di colori intensi: rossi, bianchi, blu, gialli principalmente. Nella serie rielabora letteralmente il nudo femminile che assume una terza dimensione grazie all’uso del plexiglass modellato sulla figura femminile e poi dipinto. Molto si è detto e sempre molto si dirà di Andy Warhol: ossessionato dalla celebrità, e dalla cultura del consumo, ha creato alcune fra le immagini iconiche del XX secolo, ed influenza tutt’ora l’arte del XXI secolo. La ripetizione fu la chiave del suo successo per il quale l’arte portava gli scaffali di un supermercato all’interno di un museo o di un quadro. Così come i ritratti, di Marilyn Monroe piuttosto che di Mao Tse Tung, utilizzando il mezzo di stampa su seta per ottenere i suoi caratteristici bordi spessi alternati ad aree piatte di colore. Utilizzò la medesima tecnica per il suo portfolio di annunci pubblicitari dei quali fa parte l’opera esposta “Rebel Without a Cause 355”, che all’orecchio italiano suona come “Gioventù bruciata” con James Dean.
Reverie,1965. R. Lichtenstein
Roy Lichtenstein ha invece identificato la sua espressione di pop art attraverso il fumetto, definendo la pop art non come forma di pittura americana ma addirittura come dipinto industriale, con i suoi grandi visi in primissimo piano che riempiono il campo visivo proprio come sugli schermi tv; le nuvolette di dialogo e di pensiero sopra le teste dei personaggi. Fondamentale ai fini di quanto Lichtenstein stava facendo fu l’uso dei caratteristici punti Ben Day, un processo di stampa in cui puntini ravvicinati in colori diversi erano usati per creare mezzi toni sulla carta economica dei periodici costringendo così l’occhio a rallentare, in modo che l’osservatore fosse obbligato a trovarsi una strada attraverso l’immagine che, diversamente, sarebbe solo stato tentato di sbirciare velocemente.