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Giovanni Segantini, 1858-1899, è stato un grande pittore italiano capace di rivelare sensazioni artistiche nuove che hanno contribuito a rendere il suo personaggio una leggenda: fu infatti in grado di trasformare le vicende negative del suo vissuto in opere d’arte. Nato in Trentino Segantini rimase orfano di madre all’età di 7 anni, e perse il padre l’anno successivo. Ha vissuto l’infanzia in povertà e solitudine con grandi carenze affettive e nonostante sia stato mandato a vivere a Milano con la sorella, fuggì per finire in un riformatorio, dove un cappellano, accortosi della sua bravura nel disegno lo inserì ai corsi serali dell’Accademia di Brera.
Questo suo vivere “in sofferenza” fu il terreno fertile sul quale riuscì a temprare il proprio carattere e a creare l’equilibrio della sua vita sia come uomo e che come artista. Al tempo del servizio militare si era rifiutato di fare la leva sotto gli austriaci (Il Trentino venne annesso all’Italia dopo la prima guerra mondiale) per cui, per evitare la pena di morte, fu costretto ad esiliare in Svizzera. L’esilio fu per Segantini un altro motivo di pena che seppe far ruotare a suo favore: il suo isolamento forzato rendeva le sue opere artistiche, che a differenza di lui circolavano in Europa, ancora più misteriose e questo fattore alimentò ancora di più la sua leggenda di uomo devoto alla natura.
Il soggetto artistico preferito di Segantini era infatti la natura, seguita dalla rappresentazione della morte. Ma se per la morte il dolore dei superstiti era il soggetto dei dipinti, resi attraverso paesaggi cupi e coltre di neve silenziosa, la natura rappresentava per Segantini la via redentrice sulla quale proiettare il suo tormento, immaginario e ricchissimo, che è stato in grado di subliminare i traumi infantili attraverso l’arte. La natura fu anche il fulcro attorno al quale ruotarono le sue variazioni artistiche: dalla pittura tonale per la rappresentazione delle nebbie di Milano, passando per il simbolismo, con la viscerale identificazione tra madre e natura, per arrivare al divisionismo con il quale ha ridonato la luce ai paesaggi alpini, che l’artista portava dentro di se fino al punto da essere definito “Il Pittore della Montagne.”
Nelle sue opere Segantini non è mai partito dal concetto per arrivare all’immagine, ma piuttosto il contrario, vista la sua dipendenza dalla realtà: ”Ciò che trascina e affascina il mio pensiero è l’immenso amore che nutro per la natura”, disse l’artista. L’addio di Segantini alla pittura di genere arriva con il divisionismo italiano basato nelle sue opere da “filamenti di colore” disposti in modo empirico sulla base delle leggi ottiche. Abbracciando il divisionismo Segantini evoca il simbolismo della realtà contadina in maniera tutta personale: illumina la scena da una fonte di luce opposta a quella del sole, ottenendo un effetto “a riflettore” che ne rischiara le ombre pur rimanendo ligio alla composizione chiaroscurale del dipinto. Segantini, che usava dipingere dalla natura, quasi sempre senza dipinti preparatori fu considerato il massimo referente italiano precursore dell’arte moderna.
Grazie all’amico Grubicy, che lo riforniva di materiale durante il suo esilio, consentendogli di essere al passo con i tempi, Segantini ebbe modo di conoscere il realismo dal quale però si distaccò in fretta perchè per lui non c’erano classi sociali da promuovere ma tutti gli individui erano ugualmente parte della natura e potevano essere ritratti solo se il loro tormento trovava nel suo animo una risposta personale. Segantini è ricordato come uno degli artisti più famosi e influenti d’Europa alla fine del XIX secolo ed i suoi dipinti sono parte di importanti collezioni e musei fra i quali lo stesso Museo Segantini a Saint Moritz. L’opera selezionata è stata realizzata coprendo un’opera precedente: “Mai Assolta”, di forte impatto anticlericale, realizzata tra il 1882 e il 1883 e visibile oggi solo all’esame radiografico. L’opera, “un assoluto capolavoro”, come definito dalla critica segna l’addio di Segantini dalla pittura di genere.
Il raffinato simbolismo con il quale l’artista rappresenta un prete solo e pensieroso salire le scale della chiesa tardo barocca di un paese lombardo, assolto nel suo silenzio e nella sua solitudine sembra porre in discussione il fatto che la risposta ai quesiti essenziali non può essere data dalle religioni ufficiali. La struttura orizzontale del dipinto regala solennità all’opera non per la narrazione quanto per i mezzi pittorici con i quali Segantini ha dipinto il cielo o i gradini usurati che conducono direttamente al bordo del gradino superiore. Segantini che era ben lontano dal credo cristiano, sebbene nel suo excursus pittorico faccia spesso riferimento alla devozione religiosa tipica cristiana, ha affermato in riferimento alla religione:” Non ho mai cercato un Dio fuori di me perchè ero persuaso che Dio fosse in noi e che ciascuno di noi è parte di Dio come ciascun atomo è parte dell’universo”, riferendosi all’universo come la natura: madre e matrigna. Un’affermazione questa che da coerenza a tutta la sua produzione pittorica.