This post is also available in:
Colonialismo, status, sociologia e mitologia: gli spunti, le ispirazioni di Marielle Plaisir. Artista franco-caraibica nata e vissuta in Normandia fino all’età di 16 anni, da padre guadalupense e mamma francese. Tornata sull’Isola di Guadeloupe, dipartimento francese d’oltreoceano ha conosciuto e realizzato l’esperienza del colonialismo vissuta dai suoi predecessori. Tornata in Francia ha frequentato la Scuola Nazionale Superiore di Belle Arti di Bordeaux per poi stabilirsi negli Stati Uniti.
Il suo concetto di arte parte dalla nozione di identità vista dalla prospettiva di chi la storia l’ha vista scrivere e modellare attraverso gli occhi del colonialismo. Marielle si schiera in favore di chi sostiene che il potere sia un fattore prettamente politico, che sia il ripetersi di un fattore culturale e non naturale insito nell’individuo. Concetto questo affrontato in precedenza da Pierre Bourdieu, scienziato sociale tra i più illustri del XX secolo, nonché suo ispiratore. Secondo Bourdieu: l’oggetto artistico non è dato semplicemente dall’opera d’arte, ma è dato anche e soprattutto dal contesto sociale pregno di violenza simbolica che nell’habitus spiega la maniera attraverso cui un individuo interiorizza la cultura dominante e la riproduce involontariamente sugli schemi della dominazione. Marielle indaga questa prospettiva e si impegna nella de-costruzione e successiva ricostruzione attraverso le sue opere, di un mondo in cui nessuno domina o regna, un mondo in cui ciascun si muove in totale libertà: Dalla realtà della vita alla capacità dell’immaginazione, superando barriere come il concetto di casa ed immigrazione, di razza e colore, di vita e di morte.
La sua arte, tra il reale e l’onirico, combina il disegno, la pittura, le performances e le installazioni e si divide in due grandi filoni accomunati da questa messa in risalto della condizione umana.
Il primo filone, la parte attiva, è costituita dalle performance ACTA NO VERBA, come estensione di un’arte che a Marielle non basta più e che necessita di prendere forma attraverso se stessa: indossando abiti d’epoca il corpo di Marielle scompare per lasciare spazio allo status sociale che l’abito che indossa rappresenta e del quale vuole essere denuncia. Marielle compie le sue performances in luoghi ben precisi, dalla quotidianità delle lavanderie a gettoni, per esempio, prima a Parigi e poi a Miami Beach. Rinchiusa in un rigoroso silenzio, denuncia le dinamiche della dominazione coprendosi a ritmo cadenzato gli occhi (non vedo), le orecchie (non sento) e la bocca (non parlo).
La sua performance è arrivata anche sul “POTUS I” –POTUS, acronimo di President of the United States– uno speciale vagone ferroviario della Casa Bianca, oramai in disuso, utilizzato dal XXXII Presidente degli Stati Unit d’America, Franklin Delano Roosevelt e in quanto tale simbolo di potere e strategie, che su quel vagone hanno preso forma.
Un’analoga rappresentazione ha avuto luogo al MOCA di Miami, in un contesto differente, indubbiamente più asettico rispetto al realismo della lavanderia o del vagone, ma ugualmente emozionante ed altamente drammatico perchè la performance è stata accompagnata dalla musica dal vivo del baritono, Angel Refusé sulle note della musica di “Après un Rêve”di Gabriel Fauré.
Oltre alle performances, Marielle, ha realizzato diverse installazioni, fra queste “Lavomatic”, a Parigi, un gigantesco pallone rivestito in tessuto, materiale fondamentale e ricorrente utilizzato nelle sue opere. Marielle sdogana il tessuto come stereotipo dello stato sociale delle persone e lo plasma a favore dell’arte nella molteplicità delle sue espressioni.
Un’altra installazione ad alto impatto emotivo è stata “Dress”: 20 vestiti in carta traslucida illuminati a LED e sospesi al soffitto. Fra questi 20 vestiti dieci sono stati elaborati con perforazioni (pizzi) e fiocchi, simbolo della ricca borghesia, mentre gli altri dieci erano semplici senza fronzoli e decori, simbolo della schiavitù.
Il secondo filone, quello immaginario, onirico, è costituito dall’opera d’arte vera e propria composta da disegni ed opere di medie e grandi dimensioni per lo più litografie, tecnica mista acquarello e acrilico, e l’immancabile tessuto che fa da cornice e richiama dall’antichità i tapestries di Versailles, nei quali si raccontano le avventure del re Luigi XIV, il re Sole, incarnazione per eccellenza della figura del monarca assoluto; e alla contemporaneità nei quilt di Faith Ringgold, artista newyorkese contemporanea che ha trapuntato le sue storie per essere ascoltata.
L’arte di Marielle Plaisir è un’arte positiva, serena, senza dramma, che si ispira alla mitologia e alle storie della tradizione come Pelle d’Asino, il Gatto con gli Stivali, Cappuccetto Rosso, la sua preferita, ma anche al 400 italiano e al periodo della nobiltà francese.
Fra le sue opere oniriche e rappresentative “Sangue blu, sangue nero”, una serie di 18 ritratti, riproduzioni di ritratti rinascimentali, appesi in stile salone antico: dei tondi incorniciati con broccati di stoffa, in cui spiccano sia figure della borghesia che personaggi come Olaudah Equiano, scrittore e mercante nigeriano che sostenne il movimento britannico che pose fine alla tratta degli schiavi.
Marielle si definisce “un’artista sognatrice con l’urgenza di creare opere poetiche che facciano sognare il mondo”, per questo motivo le sue opere sono sempre serene e a lieto fine e per il medesimo motivo si è ispirata, in un collettivo di 18 artisti nell’esposizione “Visionary Aponte: Art and Black Freedom: The book of Life”. Uomo di colore, cubano, artista autodidatta e leader della prima cospirazione nazionale contro il regime coloniale di Cuba, Aponte darà seguito a quel che sarà il movimento indipendentista cubano per il quale sarà impiccato nel 1812 senza regolare processo, arrivando postumo al cuore di tante persone. Aponte produsse un’opera “Book of Painting”, originariamente su lamina e andato parzialmente perduto, che raccontava le vicissitudini del tempo, ispirandosi al quale, Marielle, produsse la lamina n.23.
Ma la sua poliedricità, dopo 15 anni di esibizioni tra performances, installazioni, e opere d’arte, l’ha portata a fondare il marchio Les Barbares, letteralmente tradotto come “I barbari”, ma da lei interpretato come “Le amazzoni”, da cui il logo del brand. Utilizzando tessuti di alta qualità: twill di seta al 100%, pelletteria italiana e americana, in seguito lavorata da artigiani francesi, produce borse, pochette, portafogli, portachiavi, foulard ma anche carta da parati, murales e tele rappresentanti le proprie opere d’arte, portando ad un livello superiore, più tangibile, la propria espressione artistica che si evolve nel connubio tra arte e fashion.
La collezione è disponibile oltre che sul sito www.lesbarbares.agency anche nello shop del NSU Art Museum di Fort Lauderdale.