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Grande protagonista della scena artistica del novecento, nel periodo di tempo a cavallo delle due guerre, Felice Casorati rappresenta una figura emblematica nella storia dell’arte italiana. Nato a Novara nel 1883, dopo la laurea in legge decide di dedicarsi completamente alla pittura che aveva preso il posto della musica nel suo cuore dopo l’esaurimento nervoso che lo studio gli aveva comportato. Casorati è stato per molto tempo considerato un artista solitario ed isolato dal mondo, in verità l’artista che aveva un punto di vista piuttosto anticonformista ed indipendente rispetto ai movimenti del tempo, trascorreva in solitudine ed isolamento solo il periodo di produzione delle sue opere, realizzate nel suo studio artistico, rimasto dal 1918 quello di via Mazzini, 52 a Torino.
Per il resto fu un membro attivo sia come artista espositore per le varie biennali e quadriennali in giro per l’Italia, sia come uomo di pubbliche relazioni, grande amministratore di se stesso in grado di promuovere la sua arte e allargare il proprio giro di conoscenze. Casorati vive in funzione del lavoro del padre, militare di professione che quando si sposta per l’Italia porta con se tutta la famiglia: la moglie, Felice e due sorelle maggiori, tra queste Elvira, che diventerà il soggetto dal viso allungato e dalla grande solitudine, rappresentata in molte sue opere. Durante gli anni di soggiorno a Napoli, città non troppo amata dall’artista, compone diversi lavori che hanno come protagoniste vecchie e bambine: soggetti prevalentemente femminili che usa rappresentare dal vero.
Lascia Napoli per Verona, città per lui molto importante innanzitutto perchè respira un clima meno accademico, molto più affine ai suoi gusti personali, e in secondo luogo perchè è vicina a Venezia: centro nevralgico delle attività artistiche per via della Biennale di Venezia e per la presenza di Ca’ Pesaro. La sede espositiva di Ca’ Pesaro, aperta nel 1908 ed annessa al museo di arte moderna fa da contrapposto alla rigida Biennale di Venezia, in favore di un’arte più giovane. A Venezia entra in contatto con le idee di Klimt e della Secessione Viennese, sull’orda delle quali compone fra le varie opere, “La Preghiera”, di chiaro riferimento klimtiano.
Casorati avverte la necessità di liberarsi della pesantezza accademica di matrice verista in favore di una forma di pittura simbolista con la decisione di eliminare alcuni elementi pittorici a favore di schemi cromatici decorativi che mettono in evidenza: atteggiamenti psicologici supportati da oggetti simbolici, identità spirituale, suggestione metafisica e rapporto tra bidimensionalità e tridimensionalità, ossia tra realtà e finzione. Partecipa inizialmente a due edizioni della Biennale di Venezia: quella del 1912 e quella del 1914, intervallate da un’esposizione personale a Ca’ Pesaro nel 1913, nella quale espone 41 opere. Dopo lo scoppio della prima guerra mondiale si dirige al fronte dove rientra nel 1917 a causa del suicidio del padre.
L’evento drammatico, che lascia un segno indelebile nell’artista, lo convince a trasferire la famiglia prima a Vercelli a casa di parenti e poi a Torino, dove rimarrà fino alla morte. Nella città sabauda nella quale Casorati si trova a suo agio inserendosi negli ambienti culturali del tempo, conosce Piero Gobetti autore della sua prima monografia ma dal quale, pur rimanendo amico, prenderà le distanze a causa della posizione politica di quest’ultimo. A Torino l’artista istituisce la sua scuola sulla base della quale fonderà in seguito il “Gruppo dei Sei”. Torino è anche la città dove nel 1922 l’artista persegue una nuova fase pittorica caratterizzata da una ricerca di severa e rigorosa essenzialità spaziale e plastica riferibile al neoclassicismo di cui l’opera “Silvana Cenni”, rappresenta la massima espressione: la critica vede nell’opera composta un chiaro riferimento alla Madonna della Pietà di Piero della Francesca.
È attorno al 1925 che Casorati raggiunge la massima visibilità partecipando alle varie edizioni della Biennale di Venezia nel corso degli anni e alle mostre del gruppo del Novecento italiano, sia in Italia che all’estero, fra le quali quella del Carnegie Institute di Pittsburgh, PA, USA. Ma nel 1928 Casorati compie l’ennesima svolta artistica della sua carriera. La nuova fase anti-classicista è proposta alla Biennale di Venezia nel 1928 con dipinti dai morbidi e opachi campi tonali. L’opera “Gli Scolari” è la sintesi di questa sua nuova fase intercalata da rappresentazioni paesaggistiche che aiutano l’artista a recuperare il senso di freschezza del dipingere.
È verso il 1930 che l’artista inizia a rappresentare personaggi dalle grandi mani che diventeranno in seguito il suo segno distintivo. Dopo l’intensità artistica vissuta negli anni ’20, Casorati riesce negli anni ’30 a raggiungere l’equilibrio sentimentale, dovuto al matrimonio e alla nascita del figlio, e una maturazione artistica derivante da un raggiunto equilibrio fra dimensione psicologica interiore e percezione della realtà esterna. Felice Casorati giocherà un ruolo fondamentale nello sviluppo culturale del Dopoguerra: oltre a diventare professore, poi direttore e infine presidente (fino alla sua morte) dell’Accademia Albertina di Torino, ha fondato nel 1945 con altri grandi intellettuali della scena italiana, l’Unione Culturale.
L’opera selezionata appartiene al periodo napoletano di Casorati e sebbene non sia stato uno dei periodi migliori per la creatività dell’artista trovo la rappresentazione di queste vecchie comari davvero coinvolgente ed emozionante nella sua semplicità. Pur avendo rappresentato stili differenti ma comunque, ad eccezione dell’ultima parte del suo vissuto, tutti di matrice realistica, è interessante l’affermazione che l’artista rilascia nel 1949:” Sono convinto che l’arte sia sempre stata astratta; l’episodio nella pittura del passato serviva come mezzo di comprensione e, come ho già detto altrove, bisogna ricercarne i valori autentici di linguaggio figurativo. Ma questi valori è un errore volerli isolare(come fanno oggi gli astrattisti): è un renderli concreti…Sono nemico acerrimo di ogni forma di realismo. Realismo vuol dire descrittivismo”.
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