La cultura kosher underground di Steve Marcus al Jewish Museum di Miami Beach: fra tradizione e rottura degli schemi.

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Artista, outsider e ribelle raffinato Steve Marcus, artista del Lower East Side di New York, ha interpretato per il Jewish Museum of Florida di Miami Beach, il folklore underground in versione kosher con le illustrazioni di Through the Hat: l’opera del celebre novellista Norman Mailer, composta nel 1964. 

Steve Marcus bazzica frequentemente a Miami, città nella quale lavora promuovendo la sua arte. L’esposizione, eccezionalmente prorogata fino a settembre 2019, mette in mostra opere d’arte disegnate a mano su carta, sculture in legno intagliato, miniature in acciaio, oggetti di rituali ebraici, mobili decorati dall’artista e fotografie che lo ritraggono all’opera, scattate dal celebre maestro del bianco e nero Sid Kaplan. 

Le opere artistiche illustrano il racconto di Norman Mailer dall’omonimo titolo della mostra, Through the Hat, come una risposta agli scritti Tales of the Hasidim (1923), del filosofo ebraico Martin Buber. 

Buber aveva elaborato la sua teoria come una prospettiva di pensiero i cui cardini sono i temi del dialogo e della relazione.  Gli stessi temi di cui parla Norman Mailer nel suo racconto, e i medesimi condivisi da Steve Marcus nei suoi lavori: personaggi che ad un certi punto della vita hanno realizzato quanto fosse importante rappresentare la contemporaneità della cultura ebraica. 

Solo nel 2016, il figlio di Norman Mailer ha identificato in Steve Marcus, la persona giusta in grado di poter elaborare ed illustrare l’opera di uno dei più grandi novellisti ebraico-americani, ed il risultato non ha tardato ad arrivare. L’artista ha deciso di intrecciare senza paura i suoi ricordi d’infanzia fatti di bagels e di delis, di sottaceti e pomodori verdi, di sogliole di pesce bianco avvolte nella carta, con il suo personale viaggio carico di passione per le proprie radici e per la propria cultura, che ha saputo combinare abilmente con l’arte del fumetto underground, trascinando lo spettatore in un viaggio attraverso l’emblematico cappello  nero. 

The Rabbi and The Holy Presence by Steve MArcus, 2017-2018. Bass Wood, Spanish Cedar, Milk Paint, Tung Oil and Torah Ink.

Un viaggio che lo vede partire tanti anni fa quando da ragazzino ha deciso, con il disappunto dei genitori, di non studiare medicina o legge ma di studiare arte. Arte che ha l’occasione di mostrare, seduto ad un caffé,  al proprietario di MTV, che ne compra tutte le opere, lanciandolo nel panorama artistico internazionale. Steve Marcus, che ritiene che il miglior modo per rompere le regole sia svilupparle, ha una visione sibillina di quello che è il rispetto dei crismi religiosi in relazione ai quali si dichiara non estremista, ma aperto ad un dialogo rispettoso nei confronti del prossimo, della società e del mondo. La sua visione della vita ne è lo specchio: sorridente e pacifico parla di qualsiasi argomento con cognizione di causa e pacatezza che rivelano sempre il profondo rispetto nei confronti dell’altro: Open mind in open spirit, si definisce lui. Lui e la moglie (naturopata di successo,che gestisce un’azienda di cosmetici) stanno pensando di trasferirsi in Israele per coltivare prodotti organici che rimandano agli odori ed ai sapori di un tempo. In Israele sogna anche di aprire una scuola unica, diversa da tutte le altre. 

Steve Marcus è un personaggio singolare: si presenta sempre agli appuntamenti indossando un cappellino con visiera che è svincolato dal concetto di tifoseria quanto è piuttosto sinonimo della sua realtà semplice  e della sua forma di pensiero equilibrata, che indica, oramai alla soglia dei suoi quasi cinquant’anni, il suo spirito di comprensione dei canoni sociali.

Steve Marcus Studio 1 by Sid Kaplan, 2018. Black and white photographic print.

Se le sue sculture sono lavorate in modo grossolano, con una lavorazione dettagliata per le miniature dei coltelli, le opere artistiche sono composte in maniera differente. Quasi un rituale quello di usare esclusivamente matite in legno di cedro. Fra tutti i brand la qualità migliore e tutta l’esperienza del secolo è quella delle matite Blackwing serie Palomino. Una serie molto preziosa e costosa. Lui le usa esclusivamente per firmare i suoi lavori, ma nella storia dell’arte hanno vantato personaggi d’eccezione:  Ernest Hemingway, Truman Capote, Leonard Bernstein, Quincy Jones o il padrino dei Looney Tunes, Chuck Jones. Approfondendo il discorso dei materiali ci racconta che ha una ossessione per i materiali che secondo Steve Marcus “Devono lavorare per l’artista, non il contrario”, spiega Marcus facendo una similitudine con l’acquisto di una bella macchina che richiede cure che rendono schiavo il proprietario. La scelta dei materiali non è casuale perchè Il dosaggio degli ingredienti nella composizione dei colori procede parimenti con l’elaborazione di una torta: al variare minimale degli ingredienti il risultato cambia. Per questo motivo, per disegnare, in modo meticoloso come fa, utilizza esclusivamente le penne Sakura, in gradazione 1,2,3,4,5 e 8. Con le penne non c’è possibilità di cancellare perchè il suo lavoro certosino non lascia spazio a cancellature e quando qualcosa nei suoi lavori non funziona ricomincia da capo su un altro foglio. Utilizza inoltre i Caran D’Ache crayons acquerellabili sui quali poi stende il pennello, e i Faber Castel. 

Non lavora facendo sketch preparatori ma disegna direttamente su carta formato di 10”x14”: la dimensione perfetta con la quale la Monkey Business  (il suo modo di chiamare la stampante grafica) può ingrandire o rimpicciolire l’illustrazione a seconda del formato richiesto dai media. Secondo Marcus il lavoro delle macchine non sostituirà mai la magia di un disegno fatto a mano perchè non c’è il cuore dell’artista. Marcus ritiene infatti che il processo artistico si concretizza nell’idea, diventandone concretamente la forma fisica che si affina attraverso le skills che rendono perfetta la realizzazione del disegno. La mente prende invece le decisioni che affinano il processo per arrivare a concretizzare l’idea attraverso il cuore, ed è dal lavoro all’unisono di mente, cuore e mani che si riconosce il vero artista che realizza in maniera perfetta  l’esecuzione.

Through the Hat by Steve MArcus, 2017. Pen and Ink, Giclée Print on Nyodo Kozo 44gsm. 16″x20″.

Una filosofia di vita e di pensiero che ha portato Steve Marcus molto lontano: Le sue immagini su carta stampata, e pubblicate nei cinque continenti, hanno fatto il giro del mondo e l’organizzazione Future 500, parla di lui come uno degli outsider più influenti d’America.

Ha ricevuto onori e riconoscimenti dall’American Society of Illustrators. I suoi lavori hanno presenziato diverse volte ad Art Basel, sono esposti all’Oakland Museum della California  e in importanti collezioni private. 

Ha co-sceneggiato e disegnato “Three Thug Mice” (2008) vincendo diversi festival internazionali in diverse categorie ed ha composto le animazioni dell’album dei Red Hot Chili Peppers (RHCP). 

Ha creato illustrazioni per alcune delle riviste e dei programmi internazionali più importanti: MTV, The Cartoon Network, Rolling Stone Magazine, Nickelodeon, la famigerata Cannabis Cup, The New York Times, Esquire, Art Forum, Time Out, Conde Nast Publications e il film Filmore di fama mondiale a San Francisco, fra gli altri.

Il suo amore per l’arte va di pari passo a quello per la musica che secondo Marcus deve unire, non dividere. La musica lo ha portato a Cuba, dove ha co-fondato la Papaya Records e prodotto The Cuban Hip Hop All-Stars all’Avana agli Estudios Abdala, nominata per un Latin Grammy Award. Il Time Magazine e New York Times hanno invece scritto dell’influenza che ha avuto sulla generazione di Cubaphiles, mentre la Duke University la University of Texas ne hanno fatto un caso studio, riconoscendone il contributo storico e culturale. È attualmente utilizzato nei curricula di diverse università statali.

Nel 2013 dopo aver studiato assiduamente la Torah e il Talmud, sotto la guida di stimati rabbini, ha avuto l’opportunità e l’onore di creare una vetrata 4’ x 2′ per l‘Aron Ha’Kodesh installato nel Beit Medresh a Mesivta Tifereth, Gerusalemme.

Tanti successi, un rituale per i cappelli: da quello nero con il quale ci racconta la vita kosher contemporanea, a quello a visiera,  una sorta di corona che gli conferisce l’onore di promuovere il contributo della storia ebraica in America.

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