Il Norton Museum di West Palm Beach celebra il Black History Month con Jean-Michel Basquiat.

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Jean Michel Basquiat “Disegnare nella pittura”, questo lo spotlight che il Norton Museum di West Palm Beach dedica ad uno dei primi, grandi, artisti afroamericani in occasione del Black History Month, dal 8 Febbraio al 18 Marzo. Ufficialmente riconosciuto dal governo americano nel 1976 con il Presidente Ford, il Black History Month, celebra l’importanza delle persone e degli eventi del popolo afroamericano a partire dalla diaspora africana. Il Museo presenta alcune opere appartenenti a collezioni private raramente mostrate al pubblico.

Jean Michel Basquiat “The Radiant Child” come definito dal critico e scrittore Rene Ricard. Figlio della borghesia afroamericana dalla quale si dissocia all’età di 17 anni preferendo ad una scuola agiata ed alla famiglia, le strade dell’Upper West Side sui muri delle quali, in compagnia dell’amico Al Diaz, lascia graffiti firmati SAMO (dal gergo scolastico in uso “Same Old Sheet”) e che corona con il marchio del copyright onnipresente in tutti i lavori compiuti negli anni ’80.

La sua ambizione, le sue energie e il suo talento saranno da lì a breve intercettate da un mercato dell’arte in totale rivoluzione alla ricerca della vittima sacrificale perfetta: Lui e il suo spleen, il suo malessere, l’istinto autodistruttivo che conferisce un allure romantica ai geni dannati che come lui vivono con sregolatezza al limite del lecito fino a lasciarci con un finale drammatico inevitabile.

    

La formazione artistica di Jean Michel parte dalla madre che ammira mentre disegna immagini bibliche sulle tovagliette dei ristoranti e che oltre a portarlo per musei gli regala libri importanti che segneranno il suo tratto distintivo per sempre: Anatomia di Henry Gray, fondamentale in ogni sua opera, ma anche la stessa Bibbia che interpreta in maniera propria, e due fra i suoi libri preferiti: La scimmia sulla schiena di Burroughs e I Sotterranei di Keruac. Il colore, il gesto e il segno danno libero sfogo alle immagini apparentemente infantili cariche di significati in realtà molto colti che si mischiano agli stimoli che la quotidianità newyorkese è in grado di offrire ad una persona curiosa e recettiva come il giovane Jean Michel. Il suo stile sofisticato è una via di mezzo tra l’art brut di Jean Dubuffet, che sdogana le figure sformate e grezze nell’arte, e l’eleganza di Twombly, da cui trae ispirazione per la grafica elementare e le scritte che divengono in Jean Michel un linguaggio cifrato e simbolico che fa da legante al gesto e al colore che a lui oramai non bastano più. Talvolta le scritte vengono appositamente semi-cancellate per invitare lo spettatore a prestare particolare attenzione soffermandosi sull’errore e invitandolo a riflettere.

L’uso particolare del segno nero , così come le dentature si ispirano invece a De Kooning e in qualche opera compare anche un chiaro riferimento a Picasso. I suoi segni grafici: la corona, i teschi neri, il dogman, il copyright e le scritte creano un vocabolario ed un’iconografia inconfondibile.

Gli anni ’80 sono gli anni d’oro per Jean Michel, ed è soprattutto l’incontro con Annina Nosei, gallerista italiana ben inserita nel mercato dell’arte che gli consente di avere una propria galleria nello scantinato di casa e di entrare a far parte nel mondo che conta trovandosi di punto in bianco con le tasche piene di dollari. Una favola che lo porta a produrre un’opera al giorno ma che a differenza delle belle favole non ha un lieto fine e la lieson con Annina finisce due anni dopo.

La mancanza di prospettiva, la visione frontale delle opere ma anche il mancato senso di finitura dell’opera stessa, incorniciata con materiali di recupero presi nelle discariche esprimono il profondo senso di rabbia e inquietudine che lo animano.


Due sono i temi che Jean Michel affronta nel periodo compreso tra 1982 e 1985: le ingiustizie sociali, i soprusi e la disparità razziali che lo portano a soffrire anche quando, all’apice del successo, si sente rifiutare la fermata del taxi perchè uomo colore, e la musica, unica costante che lo accompagna nella vita, prima per le strade di NY con il suo ghetto blaster (la famosa radio che va ad  appoggiare sulla spalla) poi sulla stessa tela sotto forma di musicisti afroamericani, suonatori di sax e tromba, fra i suoi idoli, più volte rappresentati, Charlie Parker e Louis Armstrong Lo stesso Jean Michel fa parte di un gruppo, i Gray. Nel 1983 ha la sua prima esposizione ufficiale al Whitney Museum di New York, con Keith Haring e Cindy Sherman. Comincia così il suo periodo di splendore che coincide però anche con il suo tracollo dovuto al consumo eccessivo di droghe. In seguito, il rapporto quasi paterno con il genio di Andy Warhol che pare apparentemente lenire i sentimenti contrastanti che rimandano ad un rapporto mai sanato con il padre e la collaborazione in una serie di opere a sei mani, le Collaboration, con Basquiat, Warhol e Francesco di Clemente, contrariamente alle aspettative non ricevono parere favorevole dalla critica che si limita ad indicare il genio di Basquiat come relegato al solo graffittismo.

      

Nel 1987, I fantasmi del passato, il senso di solitudine dovuto anche alla morte di Andy Warhol  e il timore di non essere più famoso rendono Basquiat ancora più fragile e dipendente dalle droghe che se lo porteranno via un anno dopo all’età di 27 anni. Basquiat sarà il primo afroamericano a conquistarsi una fama ed un ruolo prestigiosi nel mondo dell’arte, fino ad allora riconosciuti solo ai bianchi.

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