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“Comincio ponendomi questa domanda molto semplice: dove sono? Storicamente, economicamente, socialmente, razzialmente, economicamente, socialmente, geograficamente, visivamente, emotivamente e fisicamente?”
Una domanda impegnativa alla quale Teresita Fernández ha chiaramente risposto con il suo concetto di arte riuscendo a diventare la prima figura latino-americana ad essere nominata membro della -centenaria- Commissione Americana di Belle Arti: un panel federale che consiglia il presidente e il congresso su questioni nazionali in merito a design ed estetica. Dal 2016 collabora inoltre con la Ford Foundation con la quale ha fondato il Simposio sul futuro delle Arti Latine negli Stati Uniti, con il quale si riuniscono artisti, direttori di musei, curatori, educatori, accademici e finanziatori per un dialogo su come rappresentare più ampiamente l’arte latina attraverso l’intero spettro delle discipline creative.
Un’artista di grande portata, nata e cresciuta a Miami da genitori sfuggiti al regime di Fidel Castro, che non poteva che essere celebrata nella sua terra natale con una retrospettiva di metà carriera dedicatale dal Pérez Art Museum di Miami, per la prima volta in collaborazione con il Phoenix Art Museum (Arizona). Il PAMM, come Teresita Fernández è infatti da sempre in prima fila per promuovere le arti e gli artisti latino americani.
L’esposizione comprende oltre cinquanta lavori fra i più noti dell’artista, provenienti da collezioni private, musei, istituzioni e dalla collezione personale dell’artista stessa, che mettono in evidenza oltre vent’anni di carriera. “”Il lavoro e l’influenza di Teresita sono stati fondamentali per l’evoluzione della scena artistica di Miami ed hanno svolto un ruolo significativo nello sviluppo del nostro museo” dichiara Franklyn Sirmans, Direttore del Pérez Art Museum di Miami.
Dopo aver studiato ad FIU l’artista ha ottenuto il suo master in Belle Arti alla Virginia Commonwealth University e da molti anni vive e lavora a New York.
Teresita Fernandez è un’artista concettuale conosciuta per le sue opere scultoree immersive e per i suoi lavori monumentali, fra i quali: Seattle Cloud cover, realizzato in occasione delle Olimpiadi di Seattle (2006), Stacked Waters per il Blanton Museum of Art di Austin (2009), Hothouse Installation per il Museum of Modern Art di New York (in seguito commissionato anche da Louis Vuitton per il negozio di Union Square a San Francisco), Fata Morgana (2015) al Madison Square Park di New York o ancora Autumn (… Nothing Personal) commissionato dalla Harvard University (2018).
L’ultima installazione all’aperto è Solarium (Sanctuary), realizzata nel 2019.
Le opere in esposizione al PAMM, consentono di avere una visione di insieme ben definita dell’artista, grazie alla distribuzione delle opere suddivisa per elementi, naturali e simbolici, che procedono integrandosi fra di loro nelle ampie sale espositive o relegandosi per spazi più ristretti.
La ricerca artistica di Teresita Fernández fonde aspetti formali e concettuali della sua pratica, attraverso l’uso di materiali naturali come la grafite, l’oro, il carbone e l’onice (che hanno caricato storie spesso legate al territorio e al potere del colonialismo) con i quali, attraverso un profondo senso di ricerca storica ed emozionale, reinterpreta le relazioni tra natura, storia e identità. Fernández oltre ad aver esplorato le problematiche dell’arte contemporanea legate alla percezione e alla fabbricazione del mondo naturale, ha impiegato nei sui lavori anche la ceramica smaltata, il filo d’alluminio, l’acrilico, la plastica e delle perle di vetro. Materiali con i quali presenta spettacolari illusioni ottiche che evocano fenomeni naturali, formazioni terrestri e acqua nelle sue infinite forme.
Oltre alle opere a grandezza naturale sono esposti intimi disegni preparatori appartenenti alla collezione personale dell’artista e raramente esposti (quelli per Borrowed Landscape per esempio). Questo consente al visitatore di mettere a fuoco oltre alla grandezza delle sue opere il punto di vista di Teresita Fernández che riesce a catturare l’essenza di elementi senza forma come il fuoco, l’acqua e l’aria, usando materiali concretamente fisici. È un esempio su tutti l’opera iconica Fire (2005) raffigurante un anello effimero composto da migliaia di fili di seta tinti in gradazione (dalla collezione tessile di Franco Scalamandré) fino a rendere l’effetto ottico di una fiamma animata e luccicante.
L’artista trasforma i materiali in forme che suggeriscono fenomeni naturali andando a sollevare tematiche sociali di interesse attuale. È questo il caso di Drawn Waters (Borrowdale) 1, (2009): una grande cascata di grafite che fa riferimento a Cumbria, Inghilterra, il luogo dove, nel 1500 è stata scoperto l’elemento principe degli artisti, con il conseguente sfruttamento di uomini addetti all’estrazione del materiale, nelle miniere. I lavori di Teresita Fernández si soffermano su questioni sociali che rimandano alla sua domanda iniziale. Questioni urgenti che gli Stati Uniti (come l’Italia del resto, in modo differente) affrontano oggi tra cui le contraddizioni della democrazia e le ripercussioni dell’ingiustizia sociale legate alla terra e al luogo. Sia con la più recente serie Fire (United States of America, 2017) che con Charred Landscape (America, 2017) l’artista reinterpreta la terra, presentando un paesaggio americano contemporaneo guastato da storie coloniali di violenza e cambiamenti climatici che si contrappone fortemente alla visione idealizzata del sogno americano.
Altro elemento importante nella concezione artistica della Fernández (e ben messa in risalto nel allestimento dell’esposizione) è l’utilizzo del chiaroscuro, del vedo-non vedo e del gioco di ombre che si ispirano indubbiamente all’esperienza dell’artista maturata in Giappone durante gli anni di residenza artistica. Fernández ha sviluppato nei confronti del Giappone e del modo in cui la sua gente si relaziona con il mondo e gli oggetti, un rapporto di affinità che da circa un ventennio a questa parte la induce a tornare frequentemente trovandolo una forte fonte ispirazionale.
Attraverso la pratica del vedo non vedo e del chiaroscuro esplora la percezione e la psicologia manipolando luce e spazio per creare esperienze coinvolgenti, intime e suggestive rese tali anche dalla vasta gamma di materiali utilizzati tra cui seta, onice grafite, specchi, vetro e carbone, che consentono alle sue opere minimaliste ma sostanziali di evocare paesaggi, elementi e fenomeni naturali. Sono un esempio le formazioni nuvolose di meteoriti e il cielo notturno di Night Writing, (2011), in cui l’artista é stata ispirata dall’idea di come gli umani hanno sempre guardato al cielo notturno per informazioni di guida, navigazione e tempo. Curioso è sapere che ci sono ulteriori nozioni che si nascondono dietro le opere, come il titolo stesso che viene da una prima forma di braille che la Fernández ha usato per tradurre il testo che è diventato un modello di costellazione di fori perforati sostenuti da specchi, rendendo l’opera una superficie dinamica e riflettente.
Opere scultoree su larga scala, installazioni, disegni e lavori su muro che includono nel suo percorso di ricerca lo spettatore che entra così a far parte del suo mondo. Elemental, diventa il mezzo attraverso il quale porsi domande esistenziali sulla percezione di luogo, natura e ordine sociale ma sa contemporaneamente rigenerare l’animo del visitatore attraverso la palpabile bellezza naturale.
(In the title Borrowed Landscape (Citron, Violet, Blue, Cerulean) 1998. Wood, fabric, oculus light, graphite and paint. 84″ x 96″ x 72”)
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