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Il Museo del Novecento, in collaborazione con il Comune di Milano, la Fondazione Aldo Rossi e Silvana Editoriale presentano, Aldo Rossi. Design 1960-1997.
L’esposizione, a cura di Elena Spongaro, già curatore scientifico della Fondazione, si concentra sulla produzione del design di Aldo Rossi, radunato per l’occasione in maniera completa.
Essendo l’ottica rossiana del design un cambiamento in scala dell’architettura, la mostra costituisce un’approfondimento sulla personalità -complessa, ma sempre coerente e fedele a sé stessa- dell’architetto, designer, teorico e critico, primo italiano a vincere il Premio Pritzker nel 1990 e fra i protagonisti indiscussi -e più amati- della scena visiva del XX secolo.
L’esposizione apre con una celebre frase del designer milanese: ”Un mobile è un misto: è la forma, la funzione, il materiale e tante belle cose che si attribuiscono all’architettura. I mobili poi sono “oggetti d’affezione” o almeno io ci credo debbano esserlo.” La citazione, tratta da Autobiografia Scientifica -libro che, con il saggio L’Architettura della Città, è diventato la summa ideologica di Aldo Rossi- rappresenta la sintesi del suo pensiero. L’esposizione è composta da 350 opere tra disegni, dipinti, prototipi e modellini, oggetti di design e mobili -molti dei quali ancora in produzione- allestiti nello spazio espositivo curato dal collaboratore associato di Rossi a New York, Morris Adjmi.
Negli anni compresi tra il 1961 e il 1997 Aldo Rossi ha elaborato una molteplicità di arredi e oggetti, con i quali ha sperimentato forme e cromie. Ha spaziato dal campo dei metalli e del legno -tra i suoi materiali favoriti- al marmo e alla pietra; dalla ceramica e dalla porcellana, ai tessuti artigianali, industriali e ai materiali plastici. La sua visione purista gli ha consentito di porre in relazione i concetti di costruzione e funzionalità a prescindere dal fatto che le sue opere fossero progetti architettonici piuttosto che mobili o oggetti di design.
Se dall’analisi trasversale delle opere di Aldo Rossi emerge l’impossibilità di prescindere la concezione del disegno dall’architettura e dal design, da un’analisi tematica la sua produzione di quegli anni può essere suddivisa in nove sessioni espositive che mettono in evidenza i principi essenziali del suo pensiero.
La prima tematica è: Poetica, oggetti e architetture. In essa si materializzano gli elementi dell’universo rossiano: dal Teatro del Mondo, realizzato per la Biennale di Venezia nel 1979, alla “Cabina dell’Elba” per Bruno Longoni Atelier d’arredamento. I due progetti, realizzati entrambe in legno evocano elementi legati all’infanzia e al ricordo. Nel “Teatro del Mondo”, in particolare Rossi rappresenta un edificio magico, quasi mitologico nel quale si condensa l’ideologia del designer per cui: “l’immagine contiene la funzione”.
Sempre accomunate dall’uso del legno, sono presenti, nella sala, le sedie AR2, disegnata per Longoni e la Milano per Molteni&C., conosciuta anche come Sedia Duecento per via del bottone in rame che rimanda alla moneta da 200 lire presente sullo schienale. Con altri oggetti, nel centro della stanza, ci sono i prototipi della caffettiera Perlacor il cui nome deriva dal sistema di estrazione per percolazione, realizzata per Alessi e che rappresenta simbolicamente l’inizio del viaggio di Aldo Rossi nel mondo del design industriale, approfondito nella seconda zona tematica, Il Laboratorio dell’Industria.
A partire dall’utilizzo di forme pure, quasi archetipe, come: il cubo, la sfera e il cono, ma anche l’ottagono e la piramide, Rossi inizia il viaggio di sperimentazione degli oggetti legati al mondo della caffetteria. Le caffettiere, sono del resto un elemento di grande fascino che lo accompagnano nel corso della vita e rappresentano simbolicamente il passaggio dal mondo dell’architettura a quello del design: una ossessione che le vede rappresentate su sketches preparatori, disegni e fotografie e con le quali elabora il processo di ideazione dei progetti per analogie e frammenti che caratterizzano la nascita delle idee di Rossi. Le forme pure con le quali si approccia allo studio di innovative caffettiere sono le medesime con le quali realizza edifici architettonici e nelle quali la cupola che adorna il Teatro del Mondo e gli edifici della città, diventa il coperchio della caffettiera La Conica, ingentilita da una nuova struttura a cilindro per Alessi. Un riferimento che eleva la progettualità degli oggetti alla loro funzione conviviale.
Nella sezione: Un teatro domestico degli anni ’80, il focus è sull’approccio di Rossi al mondo degli arredi e dei complementi. La memoria degli oggetti cari e il suo vocabolario basato sulla purezza delle forme lo inducono a progettare mobili pratici di immediato impatto visivo e d’utilizzo. Ne sono un esempio la sedia Parigi (per UniFor) -rieditata nel 2021-presente in diversi esemplari e riprodotta in tecnica mista e collage anche nell’opera: “Interno milanese con persona che osserva il Duomo con nebbia” (1989). La sedia, dalle forme aerodinamiche e pensata per lo studio di Milano, risponde alle esigenza di “spazio domestico per lavorare” fungendo sia da seduta da studio che da ufficio.
La collaborazione con Artemide porta alla produzione della lampada Prometeo, di pura ispirazione geometrica, mentre per Alessi produce l’orologio da polso Momento. L’orologio, è un altro importante elemento presente sia nei disegni che nelle opere di Aldo Rossi con il quale l’architetto assume lo scorrere del tempo a concetto di pertinenza dell’architettura, in accordo con le idee del passato.
Sempre di questo periodo è il vassoio: Tea and Coffee Piazza, in risposta al progetto sperimentale ideato da Alessandro Mendini, che vedeva coinvolti numerosi artisti internazionali impegnati nella ricerca di un nuovo linguaggio nel design di oggetti per la casa. Rossi per l’occasione ha progettato una micro-architettura: il vassoio che circoscrive uno spazio (la piazza) e la teiera, la caffettiera e le altre componenti del cerimoniale che diventano piccoli edifici che vanno a comporre la città.
La città di Milano, nello specifico, è l’unità di misura con la quale Rossi si misura nella comprensione dello sviluppo architettonico delle altre città. La capitale lombarda è al tempo della sua formazione, una città del Dopoguerra che diviene la città dell’ottimismo politicamente pervaso dai valori di giustizia sociale di matrice comunista mitigata, dall’ala democristiana dello Stato, nella visione fordista di produzione e di consumo. Elementi questi che hanno caratterizzato tutta la produzione rossiana.
Con “Progetti d’Affezione”, il cubo e il modulo quadrato utilizzati per progettare alcuni edifici, come: il quartiere di San Rocco a Monza (1966), l’ossario del Cimitero di San Cataldo a Modena (1971-1978), o il Monumento a Sandro Pertini (1988-1990), sono applicati anche alla progettazione di oggetti su piccola scala come la pentola Cubica per Alessi, molto lontana dalle forme tradizionali.
In Artigianato e Design, dodici bozzetti di Rossi che rimandano sempre alle forme architettoniche dei suoi progetti, diventano le basi per l’iniziativa artistica Taccas dello studio ARP di Oristano. Un altro progetto, stavolta su scala italiana, che coinvolge molteplici autorità artistiche del tempo le cui basi dei disegni divennero tappeti di produzione manifatturiera. Il progetto Taccas -dal nome sardo delle intaccature del telaio- dà inizio al rinnovamento culturale e figurativo della carriera di Rossi.
In Varianti d’Arredo, l’attenzione dell’architetto si concentra attorno alla funzionalità degli arredi, alla loro progettazione e costruzione. La libreria Cartesio, realizzata in collaborazione con UniFor riprende le tipiche facciate di Rossi con finestre quadrate a croce centrale, come in seguito anche la libreria Piroscafo, realizzata in collaborazione con Luca Meda per Molteni&C. Al centro della sala le numerose sedie disegnate da Rossi sono animate dalla ricerca del dettaglio e rompono lo schema usuale con un’apparente semplicità delle forme.
In Biografia Domestica è presentata invece la ricostruzione delle case e dello studio di Rossi attraverso una serie di oggetti d’affezione che riportano all’immaginario fiabesco e teatrale dell’architetto: dalle papere in legno alle caffettiere americane, dai dipinti ai disegni, combinati per l’occasione ad alcuni progetti dell’architetto. Fra i progetti dell’architetto, ci sono: il mobile Convento per UniFor, l’armadio di ispirazione Shaker -pezzo unico realizzato da Bruno Longoni- o il tavolino e libreria in collaborazione con Leonardo Ferrari.
Il Design e l’Architettura sono riuniti disegni, modelli architettonici e di design che rimandano ai progetti architettonici di Rossi, fra questi ad esempio i fari: un altro elemento cardine nella progettazione poetica di Rossi. Ispirati al progetto del Campus di Miami e al ricordo dei fari del Maine la geometria dei fari è impiegata nella realizzazione del servizio da piatti, da thé e da caffé in ceramica per Rosenthal.
È infine Il Teatro del Mondo, a chiudere – e riaprire in maniera ciclica- l’esposizione. In questa sezione sono presenti inoltre, affissi alle pareti, i disegni e i progetti più noti che Aldo Rossi ha disegnato e rappresentato. Procedendo per topos e analogie che spaziano dallo studio elementare della casa, fino a quello delle città, Aldo Rossi, dimostra che nella progettazione architettonica monumentale, cosi come nel design, la storia e il presente coesistono.
A prescindere dalle opere architettoniche e di design, nell’esposizione emerge chiaramente come il disegno, insieme alla parola scritta, divengono parte integrante nella riflessione di Aldo Rossi. L’artista svincola infatti il disegno dal significato di semplice strumento tecnico -utilizzato per raffigurare edifici e progetti secondo la rappresentazione convenzionali dell’architettura: in pianta, in sezione, in alzato e in assonometria- per elevarlo a espressione grafica finalizzata a sondare significati reconditi e inattesi della sua architettura. Con i disegni in particolare, che caratterizzano tutta la produzione artistica, Rossi compie analogie di pensiero, di forma e di significato che lo portano a frammentare i suoi lavori, più volte fotocopiati e allestiti in combinazioni talvolta fantasiose e carichi di nuovi segni e colori.
La passione per il disegno e per l’arte in generale -di chiara ispirazione sironiana- gli hanno consentito, nel 1979, di diventare Accademico della prestigiosa Accademia di San Luca di Roma. La sua indole artistica lo ha portato a sperimentare diverse tecniche e medium, dal canvas ai famosi quaderni azzurri: dei piccoli taccuini di appunti, note e riflessioni che rappresentano una sorta di diario architettonico sul significato e sul valore del fare architettonico, in un confronto dialettico, sempre autentico, con i grandi maestri del Novecento e con la storia e i protagonisti del passato.
Tra i vari premi ricevuti durante la sua carriera oltre al nobel per l’architettura, l’ambito Pritzker Architecture Prize ci sono, fra gli altri: l’Aia Honor Award nel 1991, il Jefferson Memorial Award nel 1992, la nomina a membro onorario dell’American Academy of Arts and Letters nel 1996 e, un anno dopo, il Premio speciale cultura per il settore «Architettura e design», conferito dalla Presidenza del Consiglio dei ministri.
Il catalogo della mostra, edito da Silvana Editoriale è dedicato allo scomparso Germano Celant, celebre critico d’arte, co-fondatore e curatore, con Chiara Spongaro, della Fondazione Aldo Rossi.