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Essere invisibili ed avere voce. Questo il tema dell’appuntamento di febbraio con Curator Culture al The Bass Museum di Miami Beach che ha ospitato Charles McRay Blow, scrittore, giornalista ed editorialista del The New York Times e Kimberly Drew (a.k.a. @museummammy), curatrice d’arte, scrittrice e attivista sociale, intervistati dall’immancabile Tom Healy.
Per quanto tempo ancora l’America continuerà a tamponare l’orrore della sua storia razziale considerandola come un susseguirsi sfortunato di episodi violenti che risalgono ai tempi che furono? Per quanto tempo ancora si potrà parlare di storia americana trascurando l’orrore e la nefandezza della gente rubata alle proprie origini? Per quanto tempo ancora si assisterà alla brutalità degli omicidi razziali e al fatto che i loro assassini vengano assolti evidenziando ancora oggi la lunga scia delle persecuzioni violente degli afroamericani. Per quanto tempo ancora la cultura nera dovrà lottare, in America, in Italia, nel mondo per far parte della storia dell’arte? La cultura nera deve emergere al pari dei quella bianca. Deve avere voce, avere la possibiltà di studiare l’arte, di far parte della storia dell’arte. Quante opere rappresentano i neri, quanti artisti neri vanta la storia dell’arte? Davvero pochi o addirittura nessuno nel passato, nessuno che abbia valso l’importanza di un bianco. Ci crediamo aperti, avanguardisti e insuperabili eppure siamo alle porte del duemilaventi e paradossalmente stiamo ancora parlando di bianchi e neri. Dobbiamo guardare con lucidità e orrore alla storia di George Stinney, di Emmett Till, delle Leggi Jim Crow o del Massacro di Tulsa. Non parliamo di medioevo, parliamo di anni, pochi anni fa in fin dei conti Barbarie e linciaggi come grande limitazione americana per mantenere la supremazia bianca. Una supremazia che di fatto non esiste più.
È applicabile all’umanità il concetto che il filosofo francese Alain Badiou fa del nero: un elogio del nero come non colore perchè in grado di riassumerli tutti, dall’alternanza tra il buio e luce, del chiaroscuro e dei contrasti in un mondo che predilige i colori, le sfumature, i compromessi e allo stesso modo il bianco rappresenta un non-colore ma anche l’insieme di tutti i colori possibili: per schiarire, alleggerire, lumeggiare. E come il termine francese noir, rappresenta anche il buio, così la mente umana cerca di divincolarsi vagando nel buio alla totale deriva culturale e sociale, nel rifiuto del nero, che di fatto la abita. In un mondo fatto di imposters e improvers, come dice Kimberly Drew, è necessario trovare il balance tra bianco e nero senza avere paura di metterli vicini; lo split che ci consenta di accostarli come complemento e non come antitesi. un pò come Quadrato nero suprematista, di Kazimir Malevich, realizzato nel mezzo della prima Guerra Mondiale, in cui l’artista dipinge usando una miscela di colori dove il nero è assente ed è sempre di Malevich l’opera composta nel 1918 in cui rappresenta una tela impensabile, un quadrato bianco su fondo bianco. Perché chiamiamo bianco, con estrema leggerezza, tutto ciò che appare come il punto più chiaro del campo visivo, anche se raramente due bianchi coincidono, uno è bianco e uno è nero.
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