Decostruzione: un riordino di vita, politica e arte.

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Il Patricia & Phillip Frost Art Museum di Miami ha inaugurato sabato 14 luglio l’esposizione “Deconstruction: A reordering of life, politics, and art”. Dodici artisti locali che con i loro lavori hanno voluto fare un confronto serrato sull’arte, ciascuno con il proprio stile ma con il medesimo obiettivo: mettere in luce i presupposti impliciti, i pregiudizi nascosti e le contraddizioni latenti della cultura, del linguaggio che non troppo consapevolmente “abitiamo”. Mettere in guardia la società dall’interazione sociale mediata dalle immagini, rivendicando la propria autonomia ed esperienza individuale attraverso la creazione di situazioni, esperienze artistiche e culturali grazie alle quali l’individuo può ritrovare la propria condizione di soggetto attivo nella realtà.

Ed è così che Sandra Ramos artista cubana, conosciuta per l’espressione artistica  surreale nel rapporto con la situazione politica e sociale di Cuba e nota principalmente per le sue incisioni, compone Apocalyptic Cartographies Limbus. Nell’opera identifica la sua “Arianna” (il personaggio immaginario delle sue opere, in questo caso rappresentato dalla nipote) dal viso innocente distesa su un materasso che richiama un canotto, quasi esanime, ricoperta da una lastra di plexiglass inciso che rievoca il tema dell’immigrazione, il passaggio fisico attraverso quel piccolo stralcio di “liquido” (il mare) per trovare riparo da una Cuba devastata dalla dissoluzione dell’Ex Unione Sovietica e dall’embargo imposto dagli USA: situazioni non facili che hanno imposto scelte altrettanto difficili per l’artista, da qui anche il tema dell’alienazione e dell’isolamento.

L’arte fotografica di Zachary Balber, ispirata alla fotografia cruda dello svedese Robert Frank focalizza la propria attenzione sui residenti di Miami. Ritrae diverse realtà appartenenti alla Miami emarginata: fra queste due immagini, un bambino sulla sedia a rotelle della mamma e  Julia Tuttle, Hidden Spirits – Spiriti nascosti. Quest’ultima prende il nome del ponte dato in memoria di Julia Tuttle, vedova trasferitasi dall’Ohio, sulla cui terra è nata Miami e dove un senzatetto abitudinario trova riparo. L’espressione del viso semi nascosto e gli occhi rappresentano l’alienazione e la povertà degli homeless.

La grande installazione di Pepe Mar, Varla Tv, punta invece l’attenzione su Craig Coleman, artista contemporaneo di J.M.Basquiat e K.Haring, molto attivo nell’east side di New York , ha composto numerosi quadri e sculture per poi trasferirsi a Miami Beach e dar vita a drag performances con lo pseudonimo di Varla. Morto prematuramente, ha messo a disposizione la sua arte per raccogliere fondi a favore dei malati di AIDS come lui. Pepe Mar ha raccolto i suoi manifesti, locandine e alcune sue opere pittoriche, tra le quali un autoritratto di Farla con la scritta “I will not die” e le ha mixate e disposte su un’intera parete per ricordare il suo passaggio, importante, nel panorama artistico di Miami Beach.

Eddie Arroyo dipinge in plain-air angoli di Miami per lo più soggetti a gentrificazione con tutto ciò che il fenomeno comporta, primo su tutti la perdita della propria identità come  nell’opera 1294 NW 54th St Miami.

Leyden Rodriguez-Casanova incorporando oggetti trovati, nell’opera “A Degrade Door and Blind”, punta l’attenzione sulla vulnerabilità degli oggetti e dell’esistenza umana nella lotta alla  supremazia economica.

Francis Trombly esprime la sua arte in modo delicato e laborioso, mixando arte tradizionale e produzione tessile allo scopo di decostruire le regole artistiche e creando striscie di cotone tessute a mano. In Loose Canvas with Pink Embrodery, parte da un quadro volutamente disposto a cornice scoperta con del canvas che, anzichè rivestire la cornice, è sapientemente disposto con un angolo rosa che emerge dall’alto e sembra strizzare l’occhiolino allo sguardo disturbato dello spettatore che si trova davanti ad un’opera dalle mancate aspettative istituzionali.

Le sculture di Christopher Carter sono invece opere su larga scala, composte da materiali di rifiuto raccolti nel tempo e luoghi diversi, da Boston a San Francisco e poi riassemblati e riproposti in una nuova prospettiva. L’opera esposta Cross Cultural Trap è composta da una croce in legno – legno conservato da 15 anni dall’artista -, enamel e materiali recuperati. La scultura è la metafora di una trappola, la forma della croce rappresenta l’etichetta che la società ci appone incanalandoci inevitabilmente in una categoria; la corda rossa è il nodo che ci tiene legati a questa trappola in qualità di vittime innocenti in quando inconsciamente educate a questo modo di vedere le cose.

Yanira Collado artista dominicana reduce della forza dell’uragano Andrew, rappresenta nella sua opera Fuku, agora te haces qui no me conoces, la struttura di una casa solida,  composta da saponette che lasciano trasparire il senso di copertura e protezione quasi fossero un’incantesimo che permea la realtà dalle catastrofi naturali che colpiscono le zone della Florida e dell’America del Sud.

Convertendo la sua opera in uno strumento di critica sociale e politica, Glexis Novoa mira a rendere universalmente evidente la convergenza delle strategie utilizzate dai diversi sistemi di potere totalitario rappresentando i paesaggi architettonici, e mettendo in evidenza il legame indissolubile tra architettura e potere, già espresso a suo tempo dall’italiano Giovanni Battista Piranesi. Glexis Novoa ha utilizzato differenti supporti artistici per approdare infine all’uso focale del marmo come base per la grafite di cui fa ampio uso. In esposizione ci sono sia opere in canvas che in marmo, fra le quali Timba. 

L’arte di Gonzalo Fuenmayor è caratterizzata dall’utilizzo della grafite su canvas che usa in modo estremamente raffinato nel curare i particolari ed i dettagli. Gli argomenti sui quali verte la sua arte sono prevalentemente connessi ai tropici e in particolare nell’opera su larga scala esposta “The Happy Hour” rappresenta in maniera minuziosa le decorazioni  dei cocktail ad alto tasso alcolico serviti ai tropici. Le decorazioni sembrano fluttuare nell’aria quasi a voler ricercare un universo apparentemente senza fine oltre al quale risaltano solo la precarietà dell’effimero e del temporaneo.

Jamila Sabur espone in mostra Declaration, un’opera composta da una propria foto biometrica del 2008 con la quale ha fatto richiesta di cittadinanza inserendo come nome intermedio SIBINE-ELA-AKUM che in lingua Timucua – lingua parlata dai locali prima dell’invasione spagnola – significa acqua-sole-luna. L’arte di Jamila Sabur incentra il senso della ricerca sulla ramificazione coloniale e sulle radici storiche del colonialismo in Florida soprattutto come senso di ricerca di se stessi e frugando negli strati di residui della natura nel tempo di cui Range of the West Indian Manatee ne è un esempio.

Frida Baranek architetto e artista brasiliana è conosciuta per le sculture su larga scala che lavora utilizzando materiali più svariati: resina ai fili di acciaio, di ferro, pietra, materiali di recupero come, scatole di legno, lampadine e filo elettrico. Nell’opera esposta Uncertainty Relations IX, riordina la propria arte, manipolando fili di metallo, metallo galvanizzato e rame fino a creare l’illusione del movimento.

 

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